Roma (NEV), 15 dicembre 2010 – Martedì 7 dicembre 2010 si è svolto a Torino, presso i locali della Casa valdese, un convegno dal titolo “Da Martin Lutero a Sergio Marchionne. Etica del lavoro e globalizzazione”.
Alla serata, organizzata dal Centro evangelico di Cultura Arturo Pascal e dalla Claudiana editrice, che prendeva lo spunto dalla recente pubblicazione del volume di Mario Miegge dal titolo “Vocazione e lavoro”, hanno partecipato, oltre all’autore del libro, Luciano Gallino, professore emerito di sociologia all’Università di Torino, e Marco Revelli, professore di Scienza della politica all’Università del Piemonte orientale. Il volume di Miegge ricostruisce le tappe attraverso cui il lavoro, un’attività tradizionalmente confinata nell’ambito della riproduzione della vita biologica e priva di rilevanza politica, ha conquistato la luce della sfera pubblica.
I due momenti fondamentali che hanno segnato l’emancipazione del lavoro come attività e l’emancipazione del movimento dei lavoratori come soggetto politico, sono, secondo la puntuale ricostruzione di Miegge, la dottrina calvinista e puritana del lavoro come vocazione, che riscatta tale attività dalla sua tradizionale dimensione legata al biologico e all’oscurità della sfera domestica, e la dottrina marxiana del lavoro come fattore di produzione di un mondo autenticamente umano. Il dibattito, in particolare, ha affrontato le questioni più drammaticamente urgenti della parabola secolare dell’attività lavorativa, oggi giunta a un punto di crisi e di svolta, esemplificata dalla vicenda di Pomigliano.
I relatori si sono chiesti se i processi di globalizzazione non abbiano messo in pericolo la possibilità del lavoro di costruire una sfera pubblica, nel momento in cui fanno del lavoro un’attività discontinua, precaria e priva di diritti, che perde quella dimensione di costruzione di senso che ha permesso la sua emancipazione. Quale, dunque, il futuro del lavoro nella società occidentale? E quale la sua futura rilevanza politica? Alla domanda non è permesso rispondere, oggi, riproponendo soluzioni del passato; occorre piuttosto ripensare in chiave rinnovata la dimensione vocazionale dell’attività lavorativa e il suo senso profondo.