Cosa può dirci del suo incontro in Vaticano con papa Benedetto XVI?
La mia impressione è stata di un incontro dai toni molto cordiali. In particolare Benedetto XVI ha sottolineato e riconosciuto l’importanza del lavoro del CEC in vista dell’unità della chiesa, incoraggiandoci a ricercare nuovi ambiti di collaborazione per esprimere la comune testimonianza dei cristiani nel mondo. Al papa ho portato tre doni: una teca di legno proveniente dalla Siria per ricordare la comune preoccupazione per i cristiani del Medio Oriente e per le tante sfide che si trovano ad affrontare. Dentro la teca ho aggiunto due regali provenienti dalla mia terra, la Norvegia: un libro di poesie e un paio di guanti di lana. Questi guanti vogliono essere un segno per dire che l’inverno, per quanto rigido, può essere una stagione bellissima, se solo ci si equipaggia adeguatamente per difendersi dal freddo. Dico questo a chi afferma che oggi viviamo in una sorta di inverno ecumenico: anche in questa fredda stagione ecumenica possiamo andare avanti e continuare a lavorare per l’unità della chiesa.
Lei è a Roma anche per incontrare le chiese protestanti italiane. Qual è il messaggio che è venuto a portare agli evangelici del nostro paese?
Prima di tutto vorrei incoraggiare i protestanti italiani a continuare a sentirsi parte e a contribuire a quella comunione mondiale che è il Consiglio ecumenico con le 349 chiese e i 550 milioni di cristiani che esso rappresenta. Noi non siamo soltanto un ufficio a Ginevra, ma una vera comunione di chiese che sono chiamate ad essere insieme per rispondere alla chiamata che il Signore rivolge loro. Nel sermone che ho tenuto nella chiesa metodista di Roma, il testo di Avvento di Luca 12, ci chiede di vegliare, di essere consapevoli di ciò che accade attorno a noi, essere pronti per la chiamata del Signore. Mi sembra che le chiese evangeliche italiane abbiano sentito e risposto alla chiamata del Signore ad accogliere lo straniero, il migrante, coloro che giungono in Italia per guadagnarsi e ricostruirsi una vita. E questo sono in grado di farlo insieme a tanti movimenti cattolici che hanno la stessa preoccupazione.
E’ ormai da un anno che lei ha assunto la carica di segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese. Quali sono stati i punti più importanti del suo impegno?
La sfida maggiore consiste nel fatto che ci sono molte aspettative attorno al lavoro del CEC. Questo è un segnale senz’altro positivo di cui mi sono reso conto dai tanti inviti ricevuti da parte di chiese e di partner ecumenici per discutere insieme dei temi che caratterizzano la missione del CEC e che sono al centro della vita delle chiese. A questi inviti ho sempre risposto con molto piacere. In questo anno di lavoro c’è stato poi uno sforzo riguardo alle questioni amministrative per definire un piano finanziario sostenibile per le nostre strutture. Questo però si è accordato con una riflessione su ciò che veramente c’è di unico nella missione della nostra organizzazione e un impegno a rendere le chiese membro sempre più partecipi di quanto accade. Voglio poi segnalare alcuni passi incoraggianti nelle relazioni con il mondo pentecostale ed evangelicale. Sono stato invitato alla Conferenza mondiale delle chiese pentecostali e anche alla Conferenza missionaria del Movimento di Losanna. In entrambi i casi mi è sembrato di riscontrare un comune interesse verso una chiamata all’unità della missione nel mondo.
Nel considerare le iniziative intraprese nel 2010, sembra che il dialogo interreligioso stia diventando sempre più centrale nella riflessione del CEC. E’ così?
Il dialogo con comunità e persone di altre fedi rientra da sempre nelle priorità del CEC. Lo scorso novembre abbiamo avuto a Ginevra una importante Consultazione cristiano-islamica, un evento che non esiterei a definire storico perché promosso insieme a due organizzazioni islamiche. Durante la consultazione abbiamo affrontato insieme alcune questioni che hanno evidenziato preoccupazioni comuni. Per esempio, insieme abbiamo potuto esprimere una ferma condanna dell’attentato alla chiesa di Baghdad, avvenuto proprio alla vigilia del nostro incontro. Abbiamo anche parlato del prossimo referendum in Sudan che dovrebbe decidere la secessione delle regioni del sud, a maggioranza cristiana ed animista, da quelle del nord, a maggioranza musulmana. La nostra comune preoccupazione è evitare che questo evento si trasformi in un conflitto religioso. Così è venuta anche la proposta di istituire una sorta di “unità di crisi” cristiano-islamica in grado di intervenire nei conflitti in cui membri e rappresentanti delle due religioni sembrano scontrarsi. Nel mondo di oggi è praticamente impossibile sopravvalutare l’importanza del dialogo interreligioso. Il CEC ha il dovere di portare in questo dialogo così centrale per le sorti politiche e spirituali del mondo un’autorevole parola cristiana.