Roma (NEV), 5 dicembre 2012 – “Serve un nuovo spirito in queste negoziazioni, uno spirito di fiducia, di dialogo, di urgenza e di sforzo collettivo per combattere il cambiamento climatico”. Lo ha detto a Doha (Qatar) John Nduna, segretario generale di ACT-Alliance (Action by Churches Together), un’agenzia umanitaria internazionale per lo sviluppo con sede a Ginevra e che raccoglie più di 130 chiese in tutto il mondo. Nduna, che alla XVIII Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima (COP18) attualmente in corso guida una delegazione di 30 persone, sottolinea l’importanza del summit: “si tratta dell’ultima occasione per i governi di stoppare l’aumento delle emissioni, di impegnarsi a favore dei paesi maggiormente colpiti dal cambiamento climatico, e di trovare le risorse finanziarie per ‘risarcire’ gli stati più vulnerabili”. Sulla stessa linea anche la delegazione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che il 7 dicembre organizzerà un evento a latere della COP18 sul tema: “Aspetti etici e religiosi del cambiamento climatico”.
Per i rappresentanti di chiese presenti a Doha non c’è dubbio che è giunto il momento di passare dalle promesse ai fatti, azionando finalmente il Green Climate Fund, un meccanismo lanciato alla COP17 che prevede il trasferimento di risorse tese alla lotta contro il riscaldamento globale dai paesi più inquinanti verso quelli in via di sviluppo.
In queste ore a Doha, dove mancano due giorni alla chiusura del summit iniziato il 26 novembre, e dove finora non sono emersi segnali positivi sul rinnovo del protocollo di Kyoto che scade a fine anno, le riunioni si susseguono a ritmo frenetico. A dividere sono due questioni in particolare: i dettagli tecnici del Kyoto bis e il “risarcimento” che i paesi ricchi dovrebbero concedere alle nazioni più povere per i danni ambientali. A questo proposito oltre quaranta associazioni e organizzazioni non governative, tra cui il CEC, ACT-Alliance, ma anche ChristianAid, WWF, Greenpeace, e Oxfam, hanno scritto ieri una lettera aperta ai decisori politici, chiedendo non solo un meccanismo di compensazione e riabilitazione, ma anche un immediato taglio delle emissioni di gas serra, sufficienti risorse per combattere gli effetti devastanti nelle zone più vulnerabili del pianeta, nonché l’assistenza ai paesi più poveri nello sviluppare economie sostenibili. E denunciando ”la più grande ingiustizia sociale dei nostri tempi”, così concludono: “Non c’è più tempo da perdere”.