Roma (NEV), 1 ottobre 2014 – “La lotta al virus Ebola va combattuta insieme da medici, politici, media, comunità, organizzazioni religiose. Tutti debbono fare qualcosa. E se uno fallisce, tutti falliscono”. E’ questo il messaggio lanciato dall’epidemiologo e coordinatore della campagna contro Ebola dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Pierre Formenty, durante la consultazione organizzata a Ginevra, lo scorso 29 settembre, dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) sulla terribile epidemia che ha colpito l’Africa occidentale. Qual è dunque il ruolo delle chiese e delle organizzazioni ecclesiastiche di fronte a una situazione che è stata definita dall’ONU “una minaccia per la pace e la sicurezza” e che, a fronte delle circa 3mila vittime accertate, potrebbe contare entro il gennaio 2015 oltre un milione di persone infette? Molte agenzie umanitarie ecumeniche – tra cui, Action by Churches Together (ACT) Alliance, l’Agenzia avventista di sviluppo e soccorso (ADRA), e le unità di soccorso della Federazione luterana mondiale (FLM), dell’Alleanza battista mondiale (BWA) e dell’Esercito della salvezza – sono già all’opera in Liberia, Guinea e Sierra Leone, per citare le tre nazioni maggiormente colpite da Ebola, dove sono presenti strutture sanitarie gestite da organizzazioni cristiane.
Tuttavia, è l’impatto che le chiese possono avere a livello della popolazione locale che i partecipanti alla consultazione hanno sottolineato. “Molte delle persone coinvolte non hanno fiducia in spiegazioni mediche o scientifiche. Invece, ripongono fiducia nei propri leader religiosi”, ha sottolineato il pastore Elieshi Mungure, segretario per l’area africana della FLM, che ha aggiunto: “Le chiese sono profondamente radicate nelle comunità in cui servono e possiedono adeguati canali di comunicazione per promuovere pratiche di prevenzione, combattere la stigmatizzazione dei malati e le dicerie che vedono nell’azione di untori il diffondersi della malattia”. Soprattutto, i religiosi hanno la possibilità di affrontare la delicatissima questione delle cerimonie funebri, particolarmente sentite ed elaborate in Africa, ma al momento impraticabili per l’alto rischio di diffusione del virus.
“Le chiese possono immaginare e proporre delle alternative compassionevoli ai riti tradizionali”, ha affermato il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del CEC, che ha sottolineato anche l’importanza dell’assistenza psicologica e pastorale rivolta sia alle famiglie sia agli operatori sanitari. Un altro ambito importante è stato individuato nel lavoro delle associazioni femminili cristiani, come la Young Women Chirstian Association (YWCA), nella considerazione che il 70% delle vittime e delle persone contagiate è costituito da donne.