Roma (NEV), 10 dicembre 2014 – Il Grand Jury non è il luogo adatto dove decidere dell’innocenza o della colpevolezza dei poliziotti bianchi implicati in uccisioni di afroamericani. Solo la celebrazione di un equo processo può ristabilire la giustizia: questa la posizione del Consiglio delle chiese cristiane degli USA (NCCUSA) che con un comunicato stampa diffuso il 4 dicembre, ha espresso profonda preoccupazione in merito alle decisioni dei Grand Jury nei casi di Ferguson e ora di New York: “Crediamo che nessuno stia al di sopra della legge, incluso coloro il cui compito è quello di applicarla”, si legge nel comunicato. Pertanto, il NCCUSA chiede a “pubblici ministeri, forze di polizia, giurie e giudici a far rispondere dei propri atti gli agenti di polizia che hanno ucciso”.
Il segretario generale del NCCUSA, pastore Jim Winkler, ha fatto notare che “mentre siamo favorevoli all’introduzione di telecamerine incorporate agli agenti, il caso di Eric Garner ci ha confermato che evidentemente la presenza di una telecamera non è bastata per prevenire la morte del signor Garner. Né è stata una garanzia rispetto all’accertamento della responsabilità del poliziotto coinvolto nella sua morte e dell’abuso di potere esercitato”. Per Winkler la società deve riappropriarsi del concetto che “non c’è vita che valga di più di un’altra. Continuiamo a batterci per una società in cui ogni vita umana, preziosa a Dio, è valorizzata e amata”.
Con la notizia del proscioglimento anche del poliziotto Daniel Pantaleo, responsabile della morte di Eric Garner, afroamericano di Staten Island e padre di sei figli, a pochi giorni da quella, analoga, del caso di Micheal Brown, giovane afroamericano disarmato di Ferguson, centinaia di migliaia di manifestanti sono nuovamente scesi in strada in numerose città statunitensi contro il razzismo di Stato. Tra questi, in prima fila, numerosi leader religiosi che hanno chiamato i loro membri di chiesa a combattere il razzismo già all’interno delle proprie congregazioni. Innumerevoli le donne e gli uomini di chiesa che dai loro profili twitter hanno lanciato dei #EricGarner #ICantBreathe e #BlackLivesMatter e chiamato alla mobilitazione popolare.
Non sono mancate significative prese di posizione in questo senso da parte di esponenti evangelici quali il pastore Jim Wallis, direttore dell’autorevole rivista Soujourners, o della pastora e attivista Jacqui Lewis della Middle Collegiate Church di New York che dalle pagine dell’Huffpost Religion hanno chiamato alla protesta non violenta e alla riconciliazione razziale. Un appello a superare gli steccati razziali anche all’interno delle stesse chiese è arrivato dalla Southern Baptist Convention – tradizionalmente bianca e conservatrice – il cui presidente della Commissione etica e libertà religiosa Russell Moore ha chiamato ad un impegno fattivo dei propri membri di chiesa nella lotta al razzismo. Parole molto dure contro il primo presidente afroamericano degli USA Barack Obama per la sua “sconfitta nelle questioni razziali” sono arrivate da Cornel West, prominente intellettuale afroamericano di matrice battista. Sulla stessa linea il pastore battista Jesse Jackson che dalle pagine del The Guardian punta il dito contro la “politica federale di ghettizzazione che tollera l’irresponsabilità e l’impunità della polizia”.
Intanto, a New York una Coalizione di leader religiosi lo scorso 8 dicembre si è data appuntamento alla St. Paul’s Chapel prima per una preghiera, poi per una marcia con destinazione City Hall, dove al Consiglio comunale è stata consegnata una lettera con la richiesta di processare l’agente Pantaleo.
USA/2. Le chiese tra i luoghi dov’è più elevato il “racial divide”
A gennaio in Florida l’integrazione di due chiese battiste, una nera e l’altra bianca
Roma (NEV), 10 dicembre 2014 – Mentre negli Stati Uniti la questione razziale torna preponderante con proteste in tutto il paese contro un sistema giudiziario discriminatorio, proteste cui partecipano anche numerosi leader religiosi (vedi notizia precedente), il Pew Research Center ricorda come la segregazione razziale rimane ancora alta proprio nelle comunità di fede. L’80% delle parrocchie, comunità, congregazioni – secondo una ricerca del 2012 – continuano ad essere composte in larga parte da una sola etnia. Solo il 20% dei credenti statunitensi frequenta un luogo di culto dove non c’è una predominanza di un’etnia su un’altra. Gli americani che frequentano regolarmente i luoghi di culto si recano in chiese, templi o sinagoghe composte all’80% da una sola etnia. Anche se il trend verso un minore “racial divide” è positivo, nel senso che negli ultimi 15 anni le comunità di fede sempre più interrazziali sono andate aumentando, mentre quelle esclusivamente bianche o nere sono andate diminuendo, rimane il fatto che tra i luoghi più segregati della società americana ci sono proprio le chiese.
Intanto, come si apprende dall’Huffpost Religion, due pastori battisti della Florida hanno deciso di integrare le loro due chiese: la Shiloh Metropolitan Baptist Church di Jacksonville, a stragrande maggioranza afroamericana e forte di 8000 membri di chiesa, integrerà la Ridgewood Baptist Church di Orange Park, sostanzialmente bianca e con problemi finanziari. La “fusione” avverrà il prossimo 4 gennaio e, a detta dei pastori che cureranno insieme la nuova comunità interrazziale, da parte dei membri di chiesa c’è molta voglia ad assumere questa sfida. “Speriamo di poter essere testimoni di riconciliazione razziale nella nostra città e altrove, superando le nostre differenze e lavorando a favore di una comunità migliore”, ha detto il pastore nero H.B. Charles Jr, senza sottovalutare anche le difficoltà che potranno sorgere. “Servirà umiltà, unità, e volontà a cambiare e crescere” ha aggiunto.