Roma (NEV), 4 marzo 2015 – “Abbiamo contratto un nuovo impegno con Cristo e ci siamo legati gli uni agli altri. Siamo decisi a rimanere insieme”. E’ questa la dichiarazione solenne pronunciata dai rappresentanti delle 137 chiese che ad Amsterdam nel 1948 fondarono il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). Un punto di arrivo e al tempo stesso un nuovo punto di partenza del movimento ecumenico che ebbe tra i suoi maggiori artefici Willem A. Visser ‘t Hooft (1900-1985). E’ proprio a questo teologo olandese e alle vicende che portarono alla costituzione del CEC che il pastore valdese Franco Giampiccoli dedica il suo ultimo libro “Willem A. Visser ‘t Hooft. La primavera dell’ecumenismo” (ed. Claudiana, pagg. 208, euro 14.90). Una primavera molto burrascosa, attraversata da due conflitti mondiali e da quella guerra civile europea, culturale e militare, tra l’Occidente e il nazismo.
L’impegno ecumenico di Visser ‘t Hooft cominciò precocemente nell’ambito dei movimenti giovanili cristiani internazionali: l’Associazione cristiana dei giovani (YMCA) del cui Comitato mondiale fu segretario a partire dal 1924; il Movimento cristiano studenti (MCS); e la Federazione mondiale degli studenti cristiani (WSCF), di cui nel 1931 divenne segretario generale. Furono proprio questi organismi i primi a superare i confini denominazionali e confessionali, formando una classe dirigente ecclesiastica non solo aperta al dialogo tra le chiese, ma convinta che il futuro delle chiese non potesse prescindere dal cammino verso l’unità visibile della chiesa di Cristo. In particolare, Visser ‘t Hooft riteneva vitale la ricerca di un’autentica cattolicità, “quella dimensione universale della chiesa, che la Chiesa cattolica ha oscurato sotto una complessa macchinosità ecclesiastica e che il protestantesimo ha compromesso con il suo individualismo e il suo settarismo” (pag.63). L’immagine data dalle chiese nella Prima guerra mondiale, ognuna a sostegno del proprio governo e del proprio esercito, era segno di una grave infedeltà che il movimento ecumenico non solo denunciava, ma intendeva riparare con la costituzione di un organismo sovranazionale: il Consiglio ecumenico delle chiese, le cui fondamenta vennero gettate nella conferenza di Oxford del 1937 e di cui Visser ‘t Hooft divenne segretario generale, prima del comitato provvisorio, poi nel 1948, e fino al 1966, dell’organismo costituito.
Questo cammino – che Giampiccoli delinea anche attraverso preziosi excursus che ne approfondiscono il contesto storico – si compì mentre l’Europa veniva attraversata da un’altra guerra e da un’altra barbarie, quella nazista. A questa nuova ondata di violenza inimmaginabile, il movimento ecumenico seppe opporre una “sofferta, per quanto fragile, unità nella tempesta bellica” (pag. 70). Negli anni della guerra la casa di Visser ‘t Hooft divenne un luogo di incontro per i resistenti tedeschi, tra cui Dietrich Bonhoeffer e Adam von Trott zu Solz. E sempre il suo appartamento fu luogo d’incontro di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e il gruppo di intellettuali europei che stilarono la “Déclaration de Mouvements des Résistance et de Libération Européennes”. Il volume, per ragioni spiegate dallo stesso autore, si ferma alla costituzione del CEC ad Amsterdam nel 1948. La speranza è che possa vedere la luce anche il seguito della biografia di questo personaggio la cui vita è legata strettamente alle vicende movimento ecumenico contemporaneo.