Roma (NEV), 13 aprile 2016 – Lo scorso 8 aprile è stata resa pubblica l’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Letitia” scritta da papa Francesco. A questo proposito abbiamo rivolto alcune domande al pastore valdese Paolo Ribet, coordinatore della Commissione “Famiglie, matrimonio, unioni civili”, nominata dalla Tavola valdese.
Qual è la sua valutazione dell’Esortazione apostolica “Amoris Letitia”?
Si tratta di un testo complesso, molto ricco, con alcune aperture significative inserite tuttavia in uno schema biblico-teologico tradizionale. Di positivo, oltre agli elementi che hanno avuto più diffusione sui media – la valutazione positiva del sesso non limitato alla sola dimensione procreativa e alla discrezionalità lasciata ai pastori locali per l’ammissione delle persone divorziate all’eucarestia – mi sembra che un elemento di rilievo sia il metodo con cui si è giunti a questa elaborazione. Si tratta di una sintesi di due Sinodi – uno dai toni più aperti, l’altro dai toni più conservatori – e di un questionario rivolto a tutte le diocesi del mondo che ha ricevuto circa 70.000 risposte. In secondo luogo, è una novità importante l’attenzione pastorale che prende il sopravvento sull’affermazione dogmatica. Detto questo, l’impianto biblico-teologico dell’Esortazione ripropone stilemi tradizionali. Per esempio, il materiale biblico non viene elaborato nella sua complessità dalla quale verrebbe evidenziata la pluralità di strutture familiari presenti nelle Scritture. Neppure viene segnalata adeguatamente la grande distanza che esiste tra la famiglia dell’epoca di Gesù e quella dei nostri tempi.
Considerando il lavoro della Commissione di cui è coordinatore, come si pone questa Esortazione: in sintonia, aggiunge nuovi elementi o esprime una posizione completamente opposta?
Non è una domanda a cui si può rispondere facilmente. Direi che l’analisi da cui partiamo è la stessa: la famiglia è in crisi. Le risposte che proponiamo, invece, divergono. L’Esortazione ribadisce la definizione tradizionale del matrimonio e della famiglia come unica voluta da Dio, rispetto alla quale ogni altra forma di unione può essere solo un’espressione parziale o in contrasto ad essa. Mi sembra che questa impostazione ribadisca una difficoltà di fondo nel valutare la concreta realtà nella quale vivono gli uomini e le donne di oggi. Ancora, nella “Amoris Letitia” si esprimono preoccupazioni pastorali che condividiamo, l’importanza non solo di aiutare le coppie in crisi ma soprattutto di aiutare le coppie a non andare in crisi, ad essere accompagnate tanto nei loro momenti felici che in quelli di crisi. Quello che vorrei dire è che dovremmo valutare meno l’aspetto giuridico con cui le famiglie si formano e di più gli elementi sostanziali della vita di una famiglia: l’amore, il rispetto, la cura reciproca.
C’è dunque un modo diverso tra protestanti e cattolici di pensare alla famiglia?
In effetti, sì. La differenza sostanziale sta nel concetto di sacramento. Per il cattolicesimo il matrimonio è un sacramento, per i protestanti no. La Riforma del XVI secolo, ma anche un teologo come Erasmo da Rotterdam, sosteneva che il fondamento biblico della sacramentalità del matrimonio dipendeva da una lettura errata, anzi, da una traduzione sbagliata, dei testi biblici, in particolare di Efesini 5. E i Riformatori ritenevano che, per essere al tempo stesso fedeli a Dio e giusti nei confronti degli esseri umani, il matrimonio dovesse essere liberato dalla sua dimensione giuridico-sacramentale. Oggi la chiesa cattolica tenta di spiritualizzare questa dimensione sacramentale del matrimonio. Il problema tuttavia è che attorno alla parola sacramento c’è tutta una visione giuridica che ancora ingabbia la teologia cattolica romana e impedisce di muoversi liberamente su questo tema. Finché non ne esce, potrà cantare le note più melodiose, ma sempre chiusa rimane.