Scicli, Ragusa (NEV), 8 giugno 2016 – “Amico mio accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: trovo la pace. Al di là delle mie parole maldestre tu riesci a vedere in me semplicemente l’uomo” (Antoine De Saint-Exupery).
Nel libro “Il Piccolo Principe”, lo scrittore francese racconta con un linguaggio semplice e quasi fiabesco la storia di un incontro, quello tra un aviatore precipitato nel deserto del Sahara e un ragazzino, principe di un lontano asteroide che viaggia attraverso lo spazio. Questo incontro fortuito segnerà la nascita di un legame molto forte, di una relazione significativa all’interno della quale entrambi i protagonisti impareranno reciprocamente attraverso uno scambio continuo di esperienze.
Questo è ciò che accade anche all’interno della Casa delle Culture: la nascita continua di relazioni e di legami emotivi tra i ragazzi presenti e noi operatori. Abbiamo il privilegio di conoscere attraverso le loro parole i ricordi vividi, spesso drammatici, ma anche gioiosi di una vita ormai lontana vissuta nel paese di origine; proviamo la sensazione di vedere attraverso i loro occhi i colori e le luci di realtà distanti eppure così vicine. I loro racconti ci trasportano nelle strade di villaggi e di città sconosciute che il potere espressivo ed emotivo delle loro parole ci rende quasi familiari. I giovani ospiti, spesso con modalità di comunicazione e di narrazione differenti e con tempi individuali specifici condividono con noi le loro storie e i loro vissuti, le trame di una vita spesso raccontate con nostalgia e rimpianto. E spesso sentono il bisogno di esprimere ciò che vivono quotidianamente nelle loro interazioni all’interno della nostra struttura.
Così accade che un gruppo di ospiti, avendo appreso che da lì a poco sarebbe stato trasferito in una comunità di seconda accoglienza, esprima il desiderio di mettere in parole le emozioni, i sentimenti provati nel corso della permanenza alla Casa delle Culture; ci si ritrova tutti seduti in un piccolo cerchio all’interno del quale, in un tempo sospeso, i ragazzi e gli operatori avvertono la necessità di esprimere le emozioni per il distacco che avverrà da lì a qualche ora: parole, sguardi, risate riempiono lo spazio attorno a noi, creando un’atmosfera in cui la tristezza per la separazione si fonde con la speranza e le aspettative per il nuovo inizio.
Le relazioni spesso non si interrompono neppure dopo un trasferimento e questo caratterizza il nostro lavoro con i giovani ospiti della struttura; i contatti con le comunità di arrivo sono costanti e questo ci permette, ad esempio, di avere informazioni sul modo in cui procede l’integrazione con gli altri ospiti e con le nuove figure educative di riferimento; ci permette di avere informazioni circa l’inserimento nel sistema scolastico, ovvero se questo avviene in modo efficace facilitando l’apprendimento della lingua italiana e ci permette di avere informazioni sull’andamento del percorso burocratico per l’acquisizione dei documenti necessari.
La relazione è, quindi, lo strumento privilegiato che ci consente di conoscere i desideri dei giovani ospiti, le loro aspettative, le loro paure, l’angoscia per il futuro che li attende. Ma soprattutto ci permette di lavorare sulla dimensione della speranza. La costruzione di una relazione è graduale, complessa, spesso difficoltosa, sembra una strada scoscesa e in salita a causa di tanti fattori non ultime le possibili incomprensioni linguistiche. Ma “al di là delle parole maldestre” ciò che conta nella relazione con i giovani ospiti è la possibilità di creare un tempo e uno spazio dove tutti noi, reciprocamente seppur con funzioni diverse, siamo parte attiva insieme a loro nella costruzione di nuovi progetti, di nuove speranze di vita.