Brexit. Da esponenti protestanti britannici sconforto e delusione

Roma (NEV), 30 giugno 2016 – Numerose le reazioni dal mondo protestante britannico e “britannico-europeo” al voto sul Brexit: dal presidente della KEK, il vescovo anglicano Christopher Hill, al moderatore della Chiesa di Scozia Russell Barr (unica chiesa protestante del Regno Unito apertamente pro UE), fino ai britannici protestanti che vivono al di qua della Manica – come Tim Macquiban direttore del Centro ecumenico metodista di Roma, e Tony Peck, presidente della Federazione battista in Europa. Di seguito le loro valutazioni.

Brexit/1. Hill: rammarico per il risultato e le modalità della campagna referendaria

Il presidente della KEK auspica l’inizio di un dibattito più razionale sul futuro dell’Europa

Roma (NEV), 30 giugno 2016 – “Mi rammarico profondamente per il risultato e le modalità” della campagna referendaria sulla Brexit. Così si è espresso il vescovo anglicano britannico Christopher Hill, presidente della Conferenza delle chiese europee (KEK), l’organismo ecumenico continentale nato negli anni Cinquanta per costruire ponti nell’Europa divisa dalla Cortina di ferro, e che tutt’ora mantiene la sua vocazione di luogo di incontro delle chiese e di riflessione sul futuro dell’Europa. Riguardo all’Unione Europea (UE), ha dichiarato Hill, “ci sono questioni reali che certamente vanno dibattute e che sono al centro della discussione non solo nel Regno Unito ma anche in altri Paesi del continente. Tuttavia, molte delle affermazioni avanzate nella campagna referendaria – specialmente riguardo all’immigrazione, tema decisivo per l’esito del referendum -, non trovano riscontro nei fatti; il tono è stato spesso isterico piuttosto che razionale, soprattutto tra i partiti populisti e alcune sezioni della stampa”.

Nell’immediato, il vescovo Hill vede un ruolo specifico per la KEK: “Uno dei compiti più importanti della KEK, nell’ambito della quale le chiese del Regno Unito rimangono membri convinti, sarà contribuire alla costruzione di un dibattito più razionale, partendo dal già esistente dialogo all’interno delle nostre chiese in Europa, incluse quelle chiese in Stati membro ai confini meridionali e orientali dell’UE. In aggiunta, la KEK può essere uno spazio nel quale le chiese del Regno Unito possono rassicurare i partner europei del fatto che, crediamo all’importanza di costruire strutture di pace, giustizia e stabilità nel nostro continente, tanto per il benessere globale tanto quanto per quello del Regno Unito. Soprattutto, spero che le chiese, inclusi i nostri partner cattolici, possano ravvivare una visione dell’Europa più ampia di quella puramente economica, una visione che prenda forma dalla comprensione cristiana della società che guarda al bene comune di tutti, sostiene i diritti umani e le comunità inclusive senza cadere nelle domande puramente individualistiche, e che comprende la necessità del dialogo tra le fedi e tutti gli esseri umani di buona volontà. Ora che la campagna è conclusa, spero possa iniziare questo dibattito tanto urgente per il futuro dell’Europa quanto per quello del Regno Unito”.

Brexit/2. Il moderatore Barr, Chiesa di Scozia: “Non è il risultato in cui avevamo sperato”

Le prime valutazioni dell’unica chiesa protestante del Regno Unito apertamente pro UE

Roma (NEV/Riforma.it), 30 giugno 2016 – “Il referendum di giovedì scorso ha visto prevalere con una minima maggioranza l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Non è questo il risultato nel quale la Chiesa di Scozia aveva sperato”. Sono le parole con cui il moderatore della Chiesa di Scozia, pastore Russell Barr, ha commentato l’esito della consultazione sulla Brexit, nella quale i presbiteriani scozzesi, diversamente dalle altre denominazioni protestanti del Regno, si erano schierati nettamente a favore della permanenza nella UE. Una posizione ribadita lo scorso maggio nell’Assemblea generale della chiesa, sostenuta coerentemente negli ultimi 20 anni da analoghe affermazioni ufficiali e in piena sintonia con la popolazione scozzese che ha votato in larga maggioranza per il Remain.

“Credo che molte persone rimpiangeranno di aver preso questa decisione”, ha commentato il pastore Richard Frazer, responsabile del dipartimento Chiesa e società della Chiesa di Scozia, in un comunicato rilasciato lo scorso 24 giugno. “Tuttavia, questa è la decisione democratica delle persone che vivono nel Regno Unito e dobbiamo onorarla. Anche se, il fatto che da noi la maggioranza abbia votato diversamente, pone inevitabilmente delle domande sul futuro della Scozia nel Regno Unito”. Nella sua dichiarazione, Frazer ha voluto sottolineare la natura internazionalista della chiesa, la sua consapevolezza di appartenere ad una comunità mondiale. “Una consapevolezza cresciuta negli ultimi anni davanti alle sfide della povertà globale, del degrado ambientale e della catastrofe dei profughi che richiedono risposte comuni e internazionali. La mia sensazione è che questo voto sia contro lo spirito della cooperazione internazionale. Coloro che hanno fatto campagna per l’uscita dalla UE hanno raramente posto al centro della riflessione le questioni che per la Chiesa di Scozia sono cruciali. E’ davvero difficile pensare che questo voto possa esprimere solidarietà verso paesi come la Grecia, colpita da gravi problemi economici e gravata dall’impatto maggiore della crisi dei rifugiati”.

Brexit/3. Lo sconcerto dei protestanti britannici in Europa

Le reazioni di Tim Macquiban, Centro ecumenico metodista Roma, e Tony Peck, battisti europei

Roma (NEV), 30 giugno 2016 – Da Gran Bretagna che rivolge il suo sguardo all’esterno, verso il mondo intero e l’Europa, a “una Piccola Bretagna che rischia ulteriori frammentazioni, disaccordi e divisioni”. E’ questo il giudizio a titolo personale, rilasciato alla rivista Confronti dal pastore britannico Tim Macquiban, direttore del Centro ecumenico metodista di Roma (MEOR), sulla vittoria del Leave nel referendum britannico sulla Brexit. Una vittoria difficile da digerire che apre molte domande: “E’ una vittoria che incoraggia i movimenti nazionalisti, populisti, antigovernativi di altri Paesi d’Europa a mostrare i muscoli? Uscire dalla UE significa che la Gran Bretagna volta le spalle a più di un millennio di storia comune, che ha portato dalle guerre alla riconciliazione postbellica dei popoli, dedicata ad un compito comune di pace e sicurezza per la prosperità?”. Domande a cui il direttore del MEOR associa alla considerazione che “i valori evangelici di condivisione delle risorse con i poveri e accoglienza verso gli stranieri (dando rifugio a coloro che vengono privati di tutto e sono oppressi da governi che negano i diritti umani fondamentali) sono racchiusi nelle idee della nostra Comunità europea, ora rigettata dall’elettorato britannico”. In questo contesto, le chiese hanno il compito ecumenico di ricostruire i ponti con i nostri colleghi irlandesi e continentali nelle diverse chiese, protestante e cattolica, che si sentono come noi disorientati da questa decisione britannica, per dimostrare il nostro continuo impegno sui valori di una società più giusta, che porti pace e giustizia in modo collaborativo e non competitivo”. Infine, una riferimento allo slogan storico del movimento metodista: “John Wesley ha affermato: ‘il mondo è la mia parrocchia’. I cittadini britannici non devono pensare e agire come se la loro parrocchia si limitasse al loro mondo”.
Ancora più perplesso è il commento del pastore Tony Peck, anche lui britannico, presidente della Federazione battista europea (EBF). “Certamente rispetto la decisione democratica del Regno Unito di lasciare l’UE. Tuttavia – ha commentato Peck – non posso nascondere di essere profondamente scioccato e costernato. Credo che la nostra nazione abbia voltato le spalle ai valori della generosità, dell’ospitalità, dell’interconnessione, del buon vicinato e della solidarietà verso il mondo più ampio. Per me questi valori sono profondamente legati al Vangelo e anche al cuore della nostra identità battista. La loro pratica non dipende certamente dalla nostra adesione all’UE, ma il modo in cui la campagna per uscire dalla UE è stata condotta, e le falsità che al suo interno sono state generate, mi fa pensare che questi valori siano, oggi e nel futuro, sotto attacco. Da ora in poi, la sfida per le nostre chiese e per i singoli cristiani è di rendere questi valori molto più espliciti nella nostra testimonianza, addirittura formando delle comunità di ‘santa resistenza’ per l’amore del Regno di Dio quando questi valori vengono minati”.