Sud Sudan. Le chiese cristiane chiedono la fine delle violenze

Roma (NEV), 13 luglio 2016 – Una nazione giovane e sempre più fragile. Così si può definire il Sud Sudan, la nuova nazione nata cinque anni fa sotto gli auspici di un futuro di sviluppo e di pace, e oggi devastato dalla recrudescenza della guerra civile nata nel 2013 dal conflitto tra il presidente del Paese, Salva Kiir, e il vice presidente Riek Machar. Dalla sera del 7 luglio ad oggi, la capitale Juba è teatro di un’esplosione di violenza che ha già causato la morte di diverse centinaia di persone. I diversi quartieri cittadini sono zone di guerra, impossibili da percorrere in sicurezza, tanto che migliaia di persone cercano rifugio presso chiese e locali di culto. “Siamo molto allarmati per quanto sta succedendo – ha dichiarato Pauliina Parhiala, direttora dell’agenzia umanitaria ecumenica Action by Churches Together (ACT) International -. La nostra paura è che in pochi giorni possano essere vanificati gli accordi di pace raggiunti lo scorso anno e il lavoro umanitario e per lo sviluppo dell’ultimo decennio”. Una ferma condanna delle violenze è giunta dal Consiglio delle chiese del Sud Sudan (SSCC) che raggruppa le diverse tradizioni cristiane del Paese.

“Condanniamo ogni atto di violenza senza eccezioni – si legge in un comunicato radio del SSCC, diramato lo scorso 10 luglio -. Non vogliamo esprimere alcun giudizio su come e perché queste nuove violenze si siano verificate, e su chi sia da biasimare, ma notiamo con estrema preoccupazione che la tensione sta salendo”. I cristiani del Sud Sudan pregano “per le famiglie di chi è stato ucciso”, invocano “il perdono di Dio per gli uccisori”, ma soprattutto fanno appello al pentimento affinché “tutti gli individui armati si impegnino a creare un’atmosfera in cui la violenza non sia un’opzione possibile”. Una delle cause che spiegano la ferocia della violenza è la grande disponibilità di armi in tutto il Sud Sudan. “Bisogna essere onesti e dire che il Paese non ha mai raggiunto una vera e propria pace e stabilità, anche perché l’enorme disponibilità di armi è tale che anche semplici conflitti tra famiglie, tra clan diversi, possono degenerare rapidamente”, spiega Chiara Scanagatta, responsabile dei progetti per il Sud Sudan di Cuamm – Medici con l’Africa, in un’intervista rilasciata al quotidiano online Riforma.it.

Per cercare di fermare le violenze il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha invocato un embargo immediato sulle armi dirette al Paese.

Il SSCC ha organizzato per sabato 16 luglio una preghiera per la nazione e perché i leader del Sud Sudan desistano dalla guerra e tornino al dialogo.