Lampedusa, Agrigento (NEV), 10 agosto 2016 – Ogni viaggio si vive tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi. Lampedusa è un luogo dove approdano i sogni di uomini, donne e bambini. Sono sogni carichi di aspettative ad aver spinto quei ragazzi e quelle famiglie ad affrontare un cammino traumatico. Un sogno che diviene incubo nell’esperienza dell’attraversamento del deserto su mezzi che ricordano carri bestiame, tra la fame e la sete sofferta, le insidie dei predoni, l’inferno libico con la sua violenza e i campi di lavoro. In fondo a tutto questo, il mare. E, una volta “arrivati”, i ricordi. Traumatici, ferite che rimangono aperte e vive anche dopo l’approdo a Lampedusa.Per due mesi ho partecipato di persona alle numerose attività di Mediteranean Hope sull’isola, tra le quali la presenza al molo durante “gli sbarchi”. Ad accogliere i migranti, su una banchina dove molte realtà, governative e non, s’incontrano, la fredda accoglienza istituzionale è fiancheggiata dal benvenuto caldo e ospitale di un gruppo di persone che si ritrova sotto il nome di “Forum Lampedusa Solidale”. Ciò che anima le persone del Forum è la voglia di dare un’accoglienza degna di questo nome, di superare la distanza formale imposta dal codice militare con la spontaneità di una mano tesa. Come uno dei membri del forum spesso mi fa presente, “dare accoglienza è un diritto di chi accoglie”, prima ancora che un dovere morale: è una motivazione assolutamente spontanea e naturale, una necessità che i soggetti che vivono quotidianamente l’isola, diverse realtà e individualità, avvertono per se stessi. Un gesto istintivo, dunque, che diviene atto politico nel momento in cui marca una diversità dai meccanismi d’accoglienza gestiti a livello nazionale e comunitario. Perché un’accoglienza dignitosa, fatta di tè caldo, bevande, snack, coperte termiche e un caloroso “welcome” o “bienvenue”, in base alla provenienza degli ospiti, è già di per sé una testimonianza alternativa a un modello di accoglienza esclusivamente securitario.I segni della violenza, della fatica e degli stenti, i traumi che spesso marcano i corpi dei migranti, lasciano un segno indelebile anche in tutti quelli che si trovano ad accogliere, che scelgono di condividere con i nuovi arrivati una parte del loro percorso. In questa condivisione, le persone trovano uno spazio di confidenza che permette loro, foss’anche solo momentaneamente, di lenire quel dolore, di recuperare quell’umanità eclissatasi durante un travaglio durato mesi, e che per molti non è ancora finito. Quello che credo e spero è che dalla prima accoglienza alla giornaliera attività di free internet fornita da Mediterranean Hope (anche a quei ragazzi che nella tacita accondiscendenza delle istituzioni fuoriescono dall’“Hotspot” di Contrada Imbriacole attraverso un buco nella rete) il vissuto e la memoria del viaggio trovino uno spazio di rielaborazione. L’Internet Point grazie al quale i migranti possono comunicare con i propri cari per la prima volta dopo mesi custodisce insostituibili momenti d’incontro e confronto. È in quel luogo che persone da poco giunte su suolo italiano hanno la possibilità di misurarsi con il nuovo contesto, con gli operatori e i volontari, di raccontare, se vogliono, le loro incredibili storie. È in quel luogo, grazie all’interazione con l’altro, che la memoria del migrante inizia a ricomporsi in un quadro di senso.Ogni tanto, sempre all’insegna della spontaneità, si organizza un’escursione al mare tutti insieme. Con due pentole e la carcassa di un frigorifero approdato anch’esso sulle spiagge di Lampedusa si improvvisa un pomeriggio di musica, balli e canti di gruppo: un’esplosione di energia senza pari, in cui ogni confine costruito tra noi e l’altro si smaterializza. Nell’incalzare di un ritmo eccitante e viscerale, le ferite indelebili di quei ragazzi sembrano quasi cauterizzarsi.
Cicatrici sul mare
di Francesco Martelli, volontario presso l’osservatorio “Mediterranean Hope” a Lampedusa