Ha vinto l’America profonda, quella che le élite liberal non hanno saputo comprendere e che neanche l’Europa ha intuito. L’inattesa vittoria di Donald Trump racconta le inquietudini di un paese che si sente fragile e impaurito e che ha creduto di risolvere la sua crisi rovesciando le scrivanie di Washington e dell’establishment consolidato in 8 anni di amministrazione democratica. A questa vittoria ha contribuito in misura determinante il voto evangelical, secondo alcune rilevazioni superiore al 85%. In netta difficoltà le chiese protestanti storiche che in materia etica e sociale generalmente hanno posizioni più vicine a quelle di Hillary Clinton. Ma la differenza l’ha fatta stavolta il voto a valanga della galassia evangelical che è andato nettamente a favore di un candidato politicamente scorretto, che ha usato espressioni offensive nei confronti delle donne, che ha un pregiudizio negativo nei confronti delle minoranze, che disprezza i diritti riconosciuti ai gay, che minaccia una politica migratoria di assoluta chiusura, anche nei confronti dei 14 milioni di immigrati irregolari che vivono e lavorano negli Stati Uniti.
Su questa galassia – che fa riferimento a chiese libere, indipendenti, carismatiche e a numerose mega churches – hanno avuto presa le promesse elettorali di Donald Trump che ha lasciato intendere di adottare la piattaforma che da decenni le organizzazioni della destra religiosa invocano, senza per altro aver mai conseguito un risultato. Torneranno in discussione la legge sull’aborto, i diritti delle coppie omosessuali, la ricerca sulle cellule staminali embrionali, i vari temi legati alla politica della famiglia e dell’ambiente. Soprattutto si legittima un discorso pubblico ostile alle minoranze religiose, e in particolar modo all’islam. Le frasi ripetutamente espresse in campagna elettorale fanno temere un’ondata islamofobica che nulla ha a che fare con la tradizione di libertà e di pluralismo degli Stati Uniti. Nel nome di pretesi valori storici dell’America si concepisce una politica in materia di libertà religiosa nettamente anti americana, discriminatoria e lesiva del principio fondamentale di non ingerenza dello Stato nella vita delle confessioni religiose la cui libertà è invece costituzionalmente tutelata.
In questa fase è difficile immaginare grossi cambiamenti di ordine giuridico e costituzionale; certamente è prevedibile, però, un significativo cambiamento nel tono del dibattito pubblico che si farà sempre più pregiudiziale e aggressivo nei confronti dei cinque o sei milioni di musulmani che vivono negli Stati Uniti. Donald Trump rivendica un’appartenenza alla famiglia presbiteriana, e cioè a una tradizione storica del protestantesimo americano. In realtà le sue frequentazioni e il suo linguaggio sono piuttosto quelli della destra religiosa e di quelle lobby che degli anni della presidenza di Barack Obama erano entrate in un cono d’ombra. Il presidente uscente interpretava bene, infatti, la testimonianza di un cristiano liberal, attento ai temi dell’ambiente, della solidarietà sociale, dei diritti di genere e delle minoranze. Memorabile il discorso pronunciato al Cairo nel 2009 nel quale indicò la strada del dialogo con l’islam come stella polare di una strategia di convivenza e di contrasto al radicalismo e al fondamentalismo. Se non le politiche, almeno nell’immediato cambierà radicalmente il discorso pubblico e si riapriranno ferite importanti della società americana, prima tra tutte quella delle tensioni tra diversi gruppi etnici, questione che ha anche implicazioni religiose.
I dati ci dicono che l’elettorato maschile e bianco ha votato con percentuali altissime per Donald Trump mentre le minoranze hanno preferito soprattutto la candidata democratica. Questa polarizzazione potrebbe avere conseguenze preoccupanti sul piano di una coesione sociale già duramente messa alla prova dai ricorrenti conflitti di natura etnica scoppiati in numerose città americane. In questo quadro, il protestantesimo storico nordamericano – le cosiddette mainline churches – appaiono in seria difficoltà, distanti dal sentire religioso e sociale di importanti settori della società americana. Le posizioni liberal ripetutamente assunte su temi sensibili, oggi sono palesemente minoranza nella società americana ed è facile immaginare che questo avrà ripercussioni importanti al loro interno e sul piano della loro strategia di testimonianza. La lunga incubazione della destra religiosa, nata al tempo di Ronald Reagan e riemersa negli anni di George W. Bush, coglie oggi la sua affermazione più significativa. Ha ragione Barack Obama nel dire che domani il sole sorgerà di nuovo ma accadrà sopra un’America molto diversa da quella che lui ha sognato e parzialmente costruito in 8 anni alla Casa Bianca. (nev/notizie evangeliche 45/2016)
Il sole sorgerà di nuovo, ma su un’altra America
Ha vinto l'America profonda, quella che le élite liberal non hanno saputo comprendere