Roma (NEV), 23 novembre 2016 – Al convegno “Cattolici e protestati a 500 anni dalla Riforma”, organizzato a Trento (16-18 novembre) dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI, in collaborazione con la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), era presente anche il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani dal 2001 al 2010. A Kasper abbiamo rivolto alcune domande riguardo al dialogo tra chiese protestanti e chiesa cattolica romana, alla luce dell’incontro di Lund e delle stesso convegno di Trento.
Le manifestazioni per i 500 anni della Riforma protestante potevano costituire un momento di irrigidimento confessionale, invece con la partecipazione di papa Francesco lo scorso 31 ottobre a Lund (Svezia), sembrano essersi aperte nuove prospettive ecumeniche. E’ d’accordo?
Sì, si sono aperte nuove prospettive. La visita di papa Francesco a Lund e il suo incontro con gli esponenti della Federazione luterana mondiale è emblematico di una situazione che è cambiata totalmente. Siamo passati dalla cacofonia polemica che a lungo ha accompagnato le nostre reciproche relazioni, non dico a una piena sintonia, ma di sicuro a un avvicinamento enorme. Chi poteva pensare venti o trent’anni fa che una papa avrebbe partecipato alla cerimonia di apertura del Cinquecentenario della Riforma protestante! Il messaggio è che oggi nell’ecumenismo non possiamo tornare indietro ma solo andare avanti. Dobbiamo guardare con più fiducia alle cose che ci uniscono, che sono poi i fondamenti della fede in Dio, un dato per nulla scontato nelle società in cui viviamo oggi. Da questi comuni fondamenti possiamo affrontare le differenze che ci sono ancora. Tuttavia, molti avvicinamenti importanti si sono già verificati.
Qual è il suo giudizio su quanto si è detto a Lund? Cosa è più importante far risuonare di quell’incontro?
Io penso che più che le parole la cosa importante sia la nuova atmosfera che si è creata. Papa Francesco ha un carisma particolare per i rapporti umani e, in base alla mia esperienza, in tutti i dialoghi si progredisce solo se si riesce a instaurare un’atmosfera di amicizia e di fiducia. Questo ha fatto il papa: ha detto che siamo fratelli e sorelle, possiamo avanzare insieme. In più, vorrei dire che il dialogo non riguarda solo gli esperti ma ogni cristiano è chiamato al dialogo, a lavorare, pregare e cantare, affrontare le grandi sfide di oggi insieme. Questo crea una spinta all’unità ancora più forte: andiamo insieme, cooperiamo, diamo testimonianza in un mondo che ha bisogno della misericordia di Dio.
Negli ultimi anni in ambito evangelico c’era l’impressione che la chiesa cattolica romana privilegiasse il dialogo con le chiese ortodosse piuttosto che quello con le chiese protestanti. Gli ultimi fatti sembrano segnare un cambiamento. Era sbagliata l’impressione precedente o è intervenuto qualche nuovo elemento?
Entrambi i dialoghi sono importanti ed entrambi vanno seguiti. Non direi che la chiesa cattolica privilegi il dialogo con gli ortodossi. Si può dire che quelli con l’ortodossia e col protestantesimo sono dialoghi diversi, che possono anche completarsi l’un l’altro. Nessuno ha la precedenza. Piuttosto, entriamo in dialogo con chiunque si mostri aperto e interessato ad esso. Sono poi convinto che anche il protestantesimo può beneficiare dall’incontro con le chiese ortodosse, con la loro liturgia e la loro fede. Il dialogo con gli ortodossi è importante anche per le chiese della Riforma.
Lei ha scritto un libro intitolato “Raccogliere i frutti”. Un testo che dà conto dei tanti risultati raggiunti dal dialogo ecumenico dal Vaticano II in avanti, tuttavia, dopo la raccolta il campo rimane spoglio. Oggi ci sono dei frutti da raccogliere o è il momento di una nuova semina?
Ci vuole sempre pazienza: si semina in autunno per raccogliere i frutti l’anno dopo. Oggi abbiamo nuove sfide a partire da quelle che ci propongono le coppie di matrimoni misti, tra cristiani di diverse confessioni, di cui si è parlato ampiamente nel convegno di Trento, soprattutto riguardo alla condivisione della mensa eucaristica, al momento non ancora possibile. Nuovi semi vanno gettati. Tuttavia, proprio l’incontro di Lund dimostra che ci sono dei frutti già cresciuti nel frattempo. E’ cresciuto il cuore dell’ecumenismo che è la preghiera. Ecumenismo significa partecipare alla preghiera del Signore di Giovanni 17: ut unum sint, affinché siano una cosa sola. Senza la preghiera e senza la grazia dello Spirito non possiamo fare nulla nella chiesa. L’ecumenismo spirituale mi sembra essere la cosa più importante. Se preghiamo insieme possiamo comprendere meglio che le nostre divisioni non vanno fino alla radice, ma si fermano più in superficie. Credo che in ogni assemblea liturgica ci dovrebbe sempre essere un momento di preghiera per gli altri cristiani e per l’unità, una unità di diversità riconciliate.
Le relazioni tenute al convegno di Trento hanno evidenziato posizioni etiche molto diverse tra cattolici e protestanti storici su questioni come l’omosessualità o l’inizio e la fine della vita. L’etica sarà occasione di nuove scomuniche?
Esistono delle diversità di orientamento anche rilevanti che però non si delineano esclusivamente lungo i confini denominazionali, ma si riscontrano anche all’interno delle chiese stesse, trasversalmente. Contrapporre chiese protestanti e chiesa cattolica mi sembra una semplificazione. Entrando un po’ più nel merito, credo che le questioni etiche proposte dalle chiese protestanti insistano su problemi tipici del mondo occidentale. Tuttavia, il mondo è più ampio, c’è la cultura africana, quella asiatica. I cristiani dell’Africa e dell’Asia hanno, da un lato, una lista di priorità diversa, dall’altro, hanno problemi con le nuove posizioni etiche proposte dall’occidente. Le questioni vanno discusse; tuttavia, credo che la chiesa cattolica faccia bene ad insistere sulla tradizione, intesa non tanto come insieme di enunciati dottrinali o teorici, ma come la vita vissuta nel passato dalla chiesa universale che non è soltanto occidentale.