Lampedusa, Agrigento (NEV), 7 dicembre 2016 – Ricordare i morti per denunciare il presente, per costruire la memoria del domani. Alla fine, dati gli eventi che si susseguono, lo scopo per cui siamo su questo scoglio diventa questo. Confrontarci con l’odissea del Mediterraneo, un confronto quasi fisico con il dolore, una lotta contro il regime d’indifferenza che uccide queste persone due volte, la prima con il mare, la seconda togliendogli la dignità della memoria, immergendoli nel limbo dei cimiteri fatti di numeri, dove i nomi e le storie si perdono per sempre. Abbiamo incontrato i 27 migranti sopravvissuti al naufragio del 3 novembre davanti alle coste della Libia. Li abbiamo incontrati nel nostro ufficio di Lampedusa offrendo loro la possibilità di contattare i propri cari via internet. Abbiamo dato loro una mano per organizzarsi, per costruire una pagina Facebook con la quale rimanere in contatto tra loro una volta che saranno “dispersi” nelle strutture dell’accoglienza. Abbiamo sentito le loro storie, che racconteremo e disegneremo. Abbiamo ascoltato cosa sia la Libia oggi per queste persone. Insieme abbiamo organizzato il 5 dicembre una cerimonia nella chiesa di San Gerlando – la parrocchia dell’isola – durante la quale hanno ricordato i loro 120 compagni morti nel naufragio ed è stata data lettura del documento che segue, poi consegnato alla stampa. Poche righe che ci offrono il punto di vista di chi ha affidato la propria vita a quei “barconi”. Poche parole per invocare la giustizia della memoria, per chiedere ai propri fratelli di non prendere la via del mare.
Signore e Signori,
non potremmo cominciare questa cerimonia se non ringraziando il prete di questa parrocchia di cui apprezziamo l’impegno che ha assunto affinché tutti insieme potessimo rendere omaggio alle vittime del Mediterraneo. Solamente quest’anno nel Mediterraneo ci sono state 5000 vittime. Non parliamo di 5000 animali, ma di 5000 uomini, donne e bambini per bene, che a causa delle condizioni in cui sono costretti a vivere nei loro paesi hanno deciso di raggiungere l’Europa per tentare di migliorare la propria vita. 5000 persone, vittime come gli altri di violenze e stupri, che hanno visto i loro fratelli uccisi sotto il loro sguardo impotente, che sono stati costretti poi, malgrado le avverse condizioni meteorologiche, a imbarcarsi sotto la minaccia delle armi dei libici e che, sfortunatamente, non sono mai arrivate a destinazione. Rivolgiamo pertanto un appello al Governo Italiano e alle istituzioni religiose affinché venga fatta luce su questa vicenda e venga avviata un’inchiesta che porti alla verità.
Parlerò adesso del naufragio del 3 novembre 2016, di cui sfortunatamente sono stato testimone. Eravamo 147, ma solo in 27 siamo arrivati a destinazione, e 120 persone sono morte. 120 soldati, alla ricerca di una vita migliore per loro e per le loro famiglie, perché ognuno di loro rappresentava una famiglia che vive nella precarietà. Queste persone erano quindi la speranza delle loro famiglie. Insieme a voi, soldati, abbiamo combattuto; saremmo potuti morire tutti, ma Dio ha voluto che sopravvivessimo per testimoniare quanto è accaduto. Sappiate che non siete stati deboli quando, dalle 3 alle 6 di quel mattino, la situazione è precipitata. Ci siamo tutti battuti come dei veri guerrieri. Raramente ho conosciuto persone tanto coraggiose, la cui fierezza brilla come un sole splendente; e la Storia vi renderà giustizia. Io so che dal più alto dei cieli voi guardate noi e tutte queste persone qui riunite per affermare quanta stima e affetto hanno per voi. In definitiva possiamo dire che se questa è stata la volontà di Dio è perché dietro c’è certamente un disegno divino. Come dice la Bibbia: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa”. Ecco perché noi qui diciamo: pace alle nostre anime.
Approfittiamo di questa occasione per mettere in guardia i nostri fratelli dal pericolo di questo viaggio, perché ogni anno l’Africa perde troppi uomini e donne in questo esodo. E tutto si aggraverà se noi africani non prenderemo coscienza di questi rischi. Per concludere, ringraziamo i fratelli della Parrocchia e i fratelli africani. Ringraziamo, inoltre, ‘Mediterranean Hope’ per il sostegno e i mezzi che ci hanno messo a disposizione. Ringraziamo, infine, i cittadini di Lampedusa per la loro ospitalità.