Bologna (NEV), 7 dicembre 2016 – “Vogliamo creare un luogo nel quale studiosi non soltanto d’Europa, ma anche di tutto ciò che le sta attorno, e cioè Nord Africa, Medioriente, Balcani, Caucaso, Russia, possano diventare sensibili gli uni agli altri”: questo secondo Alberto Melloni, segretario della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, lo scopo della neonata European Academy of Religion inaugurata in questi giorni a Bologna, e che si propone di mettere in rete università, dipartimenti, centri di ricerca, associazioni, studiosi e riviste dedite alle religioni, e di farlo su scala europea. Per la cerimonia di lancio del nuovo istituto, fortemente voluto da Melloni, più di 500 esperti della materia lo scorso 5 dicembre sono convenuti nell’aula magna di Santa Lucia dell’Università di Bologna. Tra gli evangelici erano presenti Claudio Paravati, direttore di “Confronti” e il politologo Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope – progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), nonché coordinatore della Commissione studi della FCEI. A quest’ultimo abbiamo rivolto alcune domane.
In cosa consiste la novità? Cosa aspettarci dall’European Academy of Religion?
La grande novità risiede nella nascita di una struttura che cerca di mettere insieme istituti confessionali ed istituti accademici laici. E’ la prima volta che il tema delle religioni viene discusso in pubblico tra attori di diversa natura. Tutto ciò è scontato nel sistema americano, dove esiste da tempo un’Accademia sulle religioni e dove operano dipartimenti di studi religiosi in diverse facoltà; nel nostro paese, invece, il tema delle religioni è sempre stato “confiscato” o dalle confessioni o dai tecnici disciplinari: gli antropologi, i filosofi, ciascuno con il proprio linguaggio ed i propri criteri, senza che si avesse mai una piattaforma comune per discutere del grande fatto religioso, un attore decisivo di questo nostro spazio pubblico post-moderno e post-secolare.
Un’Accademia europea delle religioni presuppone per l’appunto l’Europa. Una premessa, culturale prima ancora che politica, che il presente sembra mettere in crisi.
Sono giorni particolari, non soltanto per il referendum costituzionale italiano ma anche per i risultati che provengono dall’Austria. Non è detto che l’ondata populista abbia l’ultima parola sull’Europa politica. E’ possibile che l’Europa ritrovi il senso della sua piattaforma, della sua unitarietà, certo in un contesto di riforma delle istituzioni europee. Per noi italiani la nascita di un’Accademia europea delle religioni è anche un’occasione per tentare una sprovincializzazione del tema delle religioni, per rompere alcuni consolidati schemi monoconfessionali. L’Italia delle religioni è un dato di realtà. In altri paesi europei il pluralismo religioso è più marcato del nostro; come italiani non abbiamo che da imparare e da arricchirci attraverso il confronto con tradizioni politiche che hanno un’esperienza e una pratica multireligiosa più consistente della nostra. Anche a questo serve l’Europa: a mantenerci aperti.
Ha nominato l’Austria. Van der Bellen a queste presidenziali ha vinto meglio di come non avesse fatto in primavera. Al politologo chiedo: è possibile che Trump funga da “antibiotico” per l’Europa?
Prima di azzardare analisi bisogna sempre ricordarsi che tra Europa e America c’è un oceano di mezzo, e non soltanto geografico. In queste settimane si discute addirittura se non sia stato il populismo nato in Europa ad aver portato Trump al potere; se così fosse quello di Trump in Europa sarebbe una sorta di “populismo di ritorno”. Certamente è molto significativo che ovunque nel mondo le democrazie si trovino a dover riscoprire il loro senso più profondo: l’equilibrio, l’ancoraggio ai dati della realtà. Nel populismo si vendono troppe mitologie e troppi sogni; abbiamo invece bisogno di un rientro sul piano del realismo per affrontare le grandi sfide: ambiente, migrazioni, diritti civili. Questi temi, e non soltanto le maggioranze, sono le bussole della democrazia.