Diritto di scelta sul fine vita/2. La posizione protestante

La riflessione interna alle chiese evangeliche relativamente alla necessità di una legge sul “testamento biologico” nasce diversi anni fa, mettendo al centro l’autodeterminazione dell’individuo in materia sanitaria.

 

Roma (NEV), 26 gennaio 2017 – Il 30 gennaio torna in aula il “testamento biologico”. La proposta di legge è stata varata all’unanimità dalla Commissione Affari sociali della Camera dei deputati, ma vede già più di 2500 emendamenti. In tema, e in particolare sul diritto di scelta di ogni individuo, le chiese protestanti italiane hanno da tempo avviato una riflessione. A più riprese si sono espresse contro il “sondino di stato” e a favore dell’autodeterminazione in materia sanitaria. Una battaglia che ha coinvolto intere comunità nel tentativo di sensibilizzare le coscienze sul delicato problema del fine vita e sulla necessità di una buona legge sul testamento biologico.

Esattamente dieci anni fa, nel 2007, il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi (massimo organo decisionale della chiesa) aveva approvato una mozione favorevole al testamento biologico, in cui si legge: “E’ principio di civiltà dare voce, attraverso una legge, alle scelte della persona compiute con coscienza e volontà e in previsione di una futura incapacità nell’esprimere validamente il suo pensiero”. A questo proposito gli evangelici italiani hanno sempre ricordato il caso tedesco, dove già nel 1999 la Chiesa evangelica in Germania (EKD) e la Conferenza episcopale tedesca (DBK), in collaborazione con la Comunità delle chiese cristiane in Germania (ACK), hanno licenziato il primo documento congiunto intitolato: “Direttiva sul Testamento biologico cristiano”.

Ma da cosa nasce questa impostazione delle chiese evangeliche relativamente ad una materia così delicata? Spiega Luca Savarino, coordinatore della Commissione bioetica della Tavola valdese: “Se dovessimo tentare di sintetizzare in poche righe l’’apertura’ che spinge i membri di una confessione religiosa minoritaria a dire sì all’approvazione di una legge sulle direttive anticipate, potremmo dire che essa si sostanzia in primo luogo come inclinazione alla laicità. E’ nostra intenzione prendere sul serio il contesto pluralistico entro cui viviamo, senza pretendere che le nostre posizioni sui temi etici, che certo riteniamo moralmente giustificate, ma che sappiamo legate a una scelta di fede, debbano essere imposte per legge all’intera comunità umana. E’ nostra convinzione che il ruolo di una Chiesa non sia quello di emanare leggi per impedire che gli individui pecchino, ma di dar da pensare, per far sì che gli individui scelgano in maniera consapevole. L’etica protestante non rifiuta l’idea che esistano norme etiche, rifiuta piuttosto i principi etici assoluti, come quello della sacralità della vita. Un rifiuto che nasce dalla consapevolezza di essere collocati, come credenti e come cittadini, in un ambito che potremmo definire ‘penultimo’, e dalla convinzione che qualsiasi prospettiva etica legalistica e astratta sia destinata a rivelarsi dispotica”.