Roma (NEV), 5 aprile 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “lo sguardo” proviene dall’Osservatorio di Lampedusa.
Era l’inizio di dicembre, quando a Lampedusa giunse la notizia del ripiegamento delle navi della società civile che fino a quel momento erano state impegnate nell’attività di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mediterraneo centrale. Solo la nave Aquarius di Sos Méditerranée sarebbe rimasta ad operare in mare, tutte le altre erano già rientrate in porto. Come equipe dell’Osservatorio di Mediterranean Hope iniziammo a discutere su questo fatto, non potevamo più ignorare le nostre preoccupazioni sull’evoluzione della situazione in mare, situazione che peraltro ci lasciava con molti interrogativi aperti.
Ci chiedevamo se lo scenario ricalcasse quello dell’anno precedente, quando alcune navi avevano scelto di ritirarsi per i mesi invernali, periodo in cui il numero delle partenze dalle coste libiche si riduce sensibilmente. Oppure se la scelta fosse stata causata dal maggiore coinvolgimento delle autorità libiche, così come previsto all’interno dell’operazione “Sophia”. Operazione tuttora in vigore che prevede l’addestramento della Guardia Costiera libica. Infine pensavamo potesse essere una più banale questione di risorse economiche, la gestione quotidiana di queste navi necessita infatti di importanti investimenti. Dopo un anno terribile come il 2016, in cui sono morte in mare oltre cinquemila persone, ci chiedevamo quanti morti avremmo dovuto contare ancora.
Il freddo stava arrivando e alle nostre ipotesi e congetture si sommava lo sconforto di non vedere arrivare più quelle navi cariche di umanità, quelle crew colorate e composte per la gran parte di volontari impegnati a prendersi cura delle persone, a farle sorridere ben prima di posare i piedi sul molo Favaloro di Lampedusa.
Sta di fatto che solo qualche giorno più tardi, il 15 dicembre, abbiamo letto delle pesantissime accuse mosse dall’agenzia europea Frontex nei confronti proprio di quelle Ong, accusate di collusione con i trafficanti di esseri umani. A febbraio è poi uscito il rapporto Risk Analysis 2017, in cui i soccorritori vicini alle coste libiche venivano definiti “pull factor”, ovverossia come fattori d’attrazione per i migranti in partenza dalle coste libiche. A queste accuse, sempre a febbraio, si aggiunsero poi delle indagini conoscitive (sembrerebbe tuttora in corso) da parte della Procura di Catania sulle Ong che a titolo volontario svolgono operazioni di ricerca e soccorso. E’ su questo che oggi si consuma il dibattito di una parte dell’opinione pubblica italiana, anche a causa di alcuni servizi televisivi costruiti ad arte da trasmissioni di intrattenimento che, come noto, non approfondiscono e non lasciano spazio alcuno al contradittorio, ma che rappresentano la realtà attraverso precisi stili narrativi che più che informare orientano la stessa opinione pubblica.
Tutto ciò non ha fatto altro che comporre un quadro ancora più complesso e preoccupante di quanto avremmo potuto immaginare solo qualche mese fa. Mentre le Ong si preparano a rispondere sulla legittimità della loro presenza in mare, che a noi, che guardiamo il mondo da Lampedusa, sembra essere anzitutto un dovere umanitario in assenza di vie legali e sicure, ci chiediamo perché a quei media che raggiungono milioni di telespettatori non interessi indagare a fondo le ragioni per le quali queste persone lasciano i loro paesi di origine, rischiando la vita, senza alcuna certezza di essere salvate. Ci chiediamo perché l’opinione pubblica dovrebbe sentirsi minacciata, e non rassicurata, dal fatto che nel Mediterraneo ci siano “gli occhi” della società civile che può, e vuole, raccontare al mondo cosa sta accadendo. Perché non reputare la presenza di queste navi (che per il 2016 hanno soccorso circa il 28% delle persone tratte in salvo), un valore aggiunto, e uno strumento utile nella cooperazione tra tutte le forze che operano nel soccorso marittimo, invece di accusarli di essere dei traghettatori?
Le notizie degli ultimi giorni ci informano della morte di circa 655 persone dall’inizio del 2017. La chiusura delle frontiere da parte dell’Europa, che passa attraverso gli accordi con la Turchia e la Libia, sommata alle accuse alle Ong, stanno erodendo e mettendo in pericolo la legittimità delle operazioni di soccorso. Tutto questo rischia di creare una tempesta perfetta in cui a farne le spese potrebbero essere sempre loro, le persone che fuggono perché semplicemente non hanno alternative. Ed è proprio nella tempesta perfetta che si perde anche la verità.