Roma (NEV), 28 giugno 2017 – I paesi del Corno d’Africa afflitti da siccità e guerra stanno affrontando la carestia che affligge regolarmente la regione, sollecitando Nazioni Unite e organizzazioni religiose a proseguire l’impegno per contenere l’attuale crisi. Leader religiosi e partner di numerose organizzazioni si riuniscono questa settimana a Nairobi, mobilitandosi per la giustizia e la pace nel Corno d’Africa.
Si è aperto ieri nella capitale keniana e si chiuderà il 29 giugno l’incontro, organizzato da Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), Conferenza delle chiese di tutta l’Africa (CETA), ACT Alliance (organizzazione umanitaria ramificazione del CEC, con sede a Ginevra e presente in tutti i continenti nelle chiese membro), Federazione luterana mondiale (FLM) World Vision International e World Food Programme. Tra i relatori: Andre Karamaga, segretario generale della CETA; Agnes Aboum, moderatore del Comitato centrale del CEC; Joyce Luma, direttore World Food Programme per il Sud Sudan; Manoj Kurian dell’Alleanza ecumenica per la difesa dei diritti (Ecumenical Advocacy Alliance EAA) e Niguksen Legesse, direttore del programma per l’Africa del CEC. Le Nazioni Unite hanno dichiarato lo stato di carestia nei territori del Sud Sudan, ma la situazione è critica anche in aree adiacenti come la Somalia, l’Etiopia, il Burundi, il Kenya e l’Uganda.
“Dobbiamo mantenere lo slancio ottenuto in occasione della Giornata mondiale di preghiera per porre fine alla fame nel mondo, dello scorso 21 maggio, impegnandoci in discussioni che abbiano risvolti strategici – dichiarano gli organizzatori, e aggiungono – in Somalia circa 2.9 milioni di persone e circa 5,6 milioni di persone nella vicina Etiopia sono classificate a rischio o in emergenza e richiedono assistenza umanitaria urgente. Più a sud, in Kenia, 2,6 milioni di persone richiedono urgentemente cibo. La siccità aumenta e con essa sono crescenti le necessità nel Sud Sudan, con 4.9 milioni di persone richiedenti assistenza alimentare urgente tra febbraio e aprile 2017. I dirigenti delle Nazioni Unite e delle chiese sono preoccupati per il nesso tra i conflitti e la fame, ben sapendo che l’insicurezza alimentare e la fame sono sempre più utilizzati come armi di guerra. La strumentalizzazione del cibo come arma aggiunge umiliazione e decimazione delle popolazioni, oltre a distruggere il tessuto stesso delle società”.