Roma (NEV), 6 luglio 2017 – “Questa legge ha tardato quasi 40 anni, nonostante gli impegni presi con le Nazioni Unite che il 10 dicembre 1984 hanno adottato la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti – ha dichiarato Massimo Corti, presidente dell’Azione dei cristiani per la abolizione della tortura (ACAT), associazione ecumenica formata da protestanti e cattolici da anni impegnati a favore dell’introduzione del reato di tortura – Questa legge ha tardato perché un sindacato di polizia e con esso una parte politica hanno fatto una lunga battaglia contro, in quanto sostenevano che essa avrebbe impedito loro di lavorare. Già una decina di anni fa eravamo arrivati vicini a una svolta, ma la discussione sul disegno di legge si arenò di fronte al concetto di reiterazione, secondo il quale la tortura si trasformerebbe in reato solo nel caso sia ripetuta”.
La legge approvata ieri alla Camera in via definitiva è comunque una buona notizia, nonostante abbia in sé almeno due punti di grande debolezza. È una buona notizia perché l’introduzione del reato di tortura e la relativa legge rappresentano “una porta che andava aperta –. ha proseguito Corti – Poi, aperta questa porta, troviamo delle cose che non funzionano. Il primo nodo riguarda la parte dell’articolo che stabilisce la tortura come punibile ‘se il fatto è commesso mediante più condotte’. Il concetto delle molteplici azioni ricorda quello della reiterazione della tortura. Un esempio pratico, quello del waterboarding, una forma di tortura purtroppo molto diffusa, che consiste in un annegamento ‘controllato’, che può comunque portare alla morte. Se si pratica per un’ora, è un’azione sola, oppure devo contare ogni volta che metto la testa sott’acqua? Ne abbiamo parlato di recente al convegno Legittimare la tortura? con giuristi ed esperti, e in molti ritengono che questa versione della legge sia costruita ad arte per tacitare certe voci contrarie se non addirittura per depotenziare situazioni come quelle di Genova. Il secondo grande difetto riguarda il ‘verificabile trauma psichico’. Provare la tortura psicologica è, secondo noi, ma anche secondo gli esperti, praticamente impossibile. Tutte le vittime di tortura hanno ferite psichiche che, a differenza di quelle fisiche (e sempre in caso di sopravvivenza), non guariscono. Medici contro la tortura e altri riferiscono che nessuna vittima di tortura vuole parlare di ciò che ha subito, quindi se la tortura psicologica deve essere comprovabile ci si chiede: come? Da chi? Detto questo, siccome l’ottimo è nemico del bene, prendiamoci il bene poi vediamo. La parola andrà ai giudici, che spesso attraverso la giurisprudenza riescono a ‘sistemare’ leggi poco chiare o interpretazioni dubbie quando non proprio sbagliate”.
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