Roma (NEV/SIR), 31 ottobre 2017 – Un anno vissuto intensamente nel solco di Lutero a 500 anni dall’inizio della Riforma. “Io ho la netta sensazione di aver vissuto un anno di svolta”, dice il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI), in questa intervista di bilancio al Sir che volentieri riproponiamo. Dalle celebrazioni di Lund, al ruolo di papa Francesco, alla collaborazione con l’Ufficio CEI per l’ecumenismo e il dialogo fino alla esperienza ecumenica dei “corridoi umanitari”.
Protestanti in festa, sabato 28 ottobre, per celebrare l’eredità della Riforma a tre giorni dalla data-simbolo del suo inizio: il 31 ottobre 1517, data in cui secondo la tradizione, Lutero affisse le sue 95 tesi contro le indulgenze sul portone della chiesa del castello di Wittenberg. La Giornata ufficiale FCEI ha scelto come motto per il 500° anniversario della Riforma protestante “Liberi per amare e servire”. Una giornata vissuta in Italia con uno spirito ecumenico a 360 gradi, in dialogo con esponenti della cultura e con la presenza di rappresentanti di altre Chiese, da quella cattolica a quelle pentecostali. Segno di un nuovo clima ecumenico che si respira. Ma soprattutto frutto di uno sguardo rinnovato sulla figura di Lutero e sull’attualità del suo messaggio che si è liberato di antichi pregiudizi e stereotipi. Ne parliamo con il pastore Luca Maria Negro, presidente FCEI.
Esattamente un anno fa, il 31 ottobre 2016, a Lund, in Svezia, si è aperto l’anno delle celebrazioni per il 500° anniversario della Riforma di Lutero. Quale bilancio si può stilare e come è cambiata oggi la percezione della Riforma e di Lutero?
È un po’ presto per stilare bilanci anche perché, tra l’altro, questo anno di celebrazioni non è ancora finito. Per esempio, avremo alla fine di novembre un importante convegno ecumenico promosso dall’Ufficio ecumenismo e dialogo della CEI, insieme alla Federazione delle chiese evangeliche e alle Chiese ortodosse, proprio per continuare a riflettere sulla Riforma e su cosa significa oggi essere Chiese che non si cristallizzano, ma continuano a lasciarsi trasformare dalla Parola di Dio. Io ho la netta sensazione di aver vissuto un anno di svolta. Il cammino ecumenico è seminato di grandi speranze, importanti dichiarazioni e gesti di fraternità che poi rimangono sulla carta e non si incarnano nella vita delle Chiese. A me pare invece che quest’anno le cose non siano andate così e stiano cambiando.
E per merito di chi o di cosa?
Credo che abbia contribuito moltissimo l’evento di Lund. Un Papa che partecipa alle celebrazioni per il 500° anniversario della Riforma è veramente un segnale forte. E se guardiamo ai contenuti di quella giornata, vediamo che si è cercato di leggere la Riforma in maniera ecumenica, rivalutando l’opera di Lutero, e alla fine, cattolici e luterani hanno firmato un’intesa di collaborazione nel servizio comune al mondo, attraverso gli organismi di Caritas internationalis e il Lutheran World service. La nostra speranza è che l’onda di questo anniversario continui. Non vorrei che passata la festa, tutto torni come prima. La mia sensazione però è che cominci a cambiare la percezione reciproca. Per questo parlo di svolta.
In che senso è cambiata la percezione reciproca?
Nel senso che per noi è molto importante che lo sguardo portato su Lutero, salvo alcune frange, sia uno sguardo diverso, capace di cogliere in Lutero quello che era veramente il suo anelito a rinnovare la fede cristiana. Lutero non è più l’eretico.
È il cristiano che, vedendo la situazione critica in cui versava la Chiesa del suo tempo, ha cercato di proporre delle soluzioni. Se poi queste soluzioni abbiano funzionato, ci possono essere opinioni diverse. Ma il fatto di credere nella purezza delle intenzioni di Lutero, di rompere finalmente vecchi stereotipi, questo – credo – è importantissimo. È come se il cammino ecumenico fatto in questi anni, i dialoghi avviati, i traguardi raggiunti come la firma sulla dichiarazione sulla dottrina della giustificazione, cominciano un po’ ad entrare nella vita delle comunità cristiane. La sensazione è che il clima ecumenico sia mutato. Speriamo che non si fermi lì e continui.
Come?
Mi auguro che il lavoro che abbiamo fatto in questi due anni con l’Ufficio CEI per l’ecumenismo e il dialogo, sia solo un preludio alla creazione di un organismo ecumenico permanente che permetta una forma di consultazione regolare tra le Chiese presenti nel nostro Paese. Questo anno è stato attraversato anche dall’esperienza ecumenica dei corridoi umanitari, primo esempio nella storia del nostro Paese di collaborazione tra le Chiese che si fa servizio.
È il primo esempio in Europa. Il bilancio è sicuramente positivo. Abbiamo accolto venerdì 27 ottobre, oltre 120 rifugiati siriani dal Libano. E con loro abbiamo completato la quota di 1.000 che ci era stata assegnata dal protocollo di intesa firmata da Comunità di Sant’Egidio, FCEI e Tavola valdese con i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Le buone notizie sono diverse. La prima è che il progetto anche se in misura ridotta, comincia ad essere esportato in altri Paesi ed è già pienamente attivo in Francia. La seconda buona notizia è che il vice ministro degli esteri Mario Giro ci ha annunciato che il progetto italiano va avanti ed è imminente agli inizi di novembre la firma di rinnovo di questa intesa per un gruppo analogo di altri 1.000 rifugiati.
Infine è di questi giorni la notizia che il Parlamento europeo ha votato una raccomandazione sui corridoi umanitari e c’è un progetto sostenuto da Junker che prevede la creazione di canali per addirittura 40mila rifugiati. Se va in porto, significa che quello che ci eravamo prefissati è stato raggiunto, e cioè essere di stimolo perché l’Europa prenda coscienza di questa situazione e cerchi alternative ai viaggi della morte.
Quale ecumenismo emerge da questa esperienza?
Ci sono varie forme di ecumenismo, quello dei corridoi umanitari è l’ecumenismo del fare e del testimoniare insieme. Poi c’è anche l’ecumenismo teologico. Credo che entrambe le forme siano essenziali. Ogni volta che si è voluto privilegiare uno di questi due aspetti dell’ecumenismo rispetto all’altro, siamo andati fuori strada. Queste due anime vanno assolutamente tenute insieme. Un ecumenismo solo spirituale o teologico non porta frutti così come un ecumenismo che si pone solamente sul piano dello stretto servizio sociale alle persone, ha i suoi limiti. Credo che dobbiamo andare avanti coniugando la testimonianza comune con l’impegno per l’unità della Chiesa che è una unità nella diversità. Si tratta di una diversità riconciliata che non appiattisce le differenze.
Intervista a cura di Maria Chiara Biagioni, fonte AGENSIR