Roma (NEV), 21 febbraio 2018 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH) – Programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana lo sguardo proviene dalla “Casa delle Culture” di Scicli (RG)
Mi chiamo Abraham, ho otto anni e vengo da un paese molto, molto lontano. Siamo partiti io e la mia mamma, all’inizio non ho capito bene dove eravamo diretti, ma dove va la mamma, vado anch’io. La mia mamma ha la pancia grande, aspetta un fratellino per me. Prima di partire ho sentito qualcuno che le diceva che non era un bene questo lungo viaggio, con un bambino che sarebbe potuto nascere lungo il percorso. La mia mamma ripeteva “sono forte, ce la faremo”. Così siamo partiti.
Io fin dal primo giorno tenevo stretta la mano della mamma, c’erano altri con noi, qualcuno mi sembrava di conoscerlo, non c’erano altri bambini, così è iniziato il mio viaggio da “grande” con i “grandi”. Ho capito da subito che non era un viaggio normale. Questo era “il viaggio”, ne sentivo parlare da mesi, a me sembrava una fiaba, un racconto della mamma prima di mettermi a letto, una storia fantastica con il sapore di un’avventura da vivere. Man mano che il viaggio proseguiva, però, mi rendevo conto che mi stavo allontanando dal villaggio e da ciò che amavo di più, la mia casa, i miei amici.
I giorni sono diventati mesi, la terra dove dovevamo arrivare sembrava fosse alla fine del mondo, in bus, a piedi, notti al freddo, la ricerca di qualcosa da mangiare. La mamma un giorno si sentì male, quello fu il giorno in cui nacque il mio fratellino. Eravamo lontani da casa, forse a un passo dalla fine del viaggio. Ancora ci aspettava il mare. Il mare io proprio non l’avevo mai visto. Eravamo nascosti da giorni e non capivo da chi ci nascondessimo, poi improvvisamente una notte la mamma mi svegliò: “Corri, Abraham, corri!” e io iniziai a correre, rimanendo attaccato a lei, che teneva stretto il mio fratellino. Ci siamo ritrovati su una barca con tantissima altra gente. Urla, pianti, un frastuono incredibile. Poi, il mare. Quanto è grande il mare! Dicono che ho gli occhi grandi, ma questi miei occhi grandi non bastavano per vederlo tutto. Siamo rimasti in quella barca per giorni, non so quanti ma non finivano mai. “Mamma, ho sete. Mamma, ho fame”. Poi è arrivata una barca, ma non come la nostra, che pensavo fosse la più grande del mondo. Era una barca veramente grossa, sembrava un’isola. E da quell’isola delle persone venivano verso di noi e un po’ alla volta ci portarono con loro.
Questa è la storia del viaggio di Abraham dall’Eritrea all’Italia. Ora Abraham è con noi qui alla Casa delle Culture. Il suo sorriso e i suoi grandi occhi illuminano la casa. Il viaggio della sua mamma e del fratellino non è ancora concluso. Il piccolo Manu, che ora ha due mesi, è affetto da gravi problemi di salute e fa la spola tra le strutture sanitarie di Ragusa e Catania. Li aspettiamo per vederli finalmente riuniti. Abraham nel frattempo gioca con gli altri piccoli ospiti di Casa delle Culture e vive con le cure premurose di tutta la piccola comunità, fra cui quelle di due giovani ragazze eritree, anche loro ospiti della Casa, che si occupano di lui con affetto e costanza.