Claviere. “Chez Jesus”, sottochiesa occupata per i migranti in transito

Intervista a Davide Rostan, pastore della chiesa valdese di Susa e attivista per i diritti umani

Lo striscione appeso fuori dai locali della parrocchia, foto tratta da: www.facebook.com/briserlesfeontieres

Roma (NEV), 29 marzo 2018 – A seguito della modifica dei flussi migratori verso la Francia, che stanno ora passando anche da Claviere, sono molte le persone che transitano o restano bloccate in alta Val Susa, sulle Alpi occidentali del Piemonte. Per dare loro rifugio in una notte con la temperatura sotto zero, attivisti e migranti si sono fatti aprire i locali della parrocchia, occupandone il seminterrato. L’Agenzia NEV ha intervistato Davide Rostan, pastore valdese titolare della chiesa di Susa e attivista per i diritti umani.

Fra l’attivista e il pastore valdese, c’è un ruolo che sente preponderante?

Non ho due parti diverse. Il mio stare lì fa parte del mio lavoro e viceversa. Mi sono relazionato con le istituzioni, con i movimenti, con i giornalisti, con i parroci, anche grazie al mio ruolo di pastore valdese della comunità di Susa, ma le cose che ho fatto le avrei fatte comunque.

Da giovedì scorso è stata occupata insieme ai migranti in transito la chiesa di Claviere. Come siete arrivati a tanto?

È la chiesa parrocchiale dove si svolge la messa tutte le domeniche. Abbiamo occupato il salone delle attività nel seminterrato, non il locale di culto. Una sera che faceva più freddo, c’era un bambino a cui si stavano congelando i piedi e altre famiglie bloccate.  Abbiamo cercato di convincerle a scendere a Bardonecchia, perché non c’era un luogo di ricovero. Alcuni che erano lì hanno aperto la porta e siamo entrati per passare la notte. Non puoi lasciare le persone a -10 gradi.

Il fatto di occupare i locali della chiesa potrebbe sembrare una provocazione. Cosa ne pensa?

Serviva un riparo in tempi immediati. Quel locale era vicino, era comodo, era pronto. Casualmente si trovava nella chiesa, ma poteva essere un altro posto. Certo, è un luogo particolarmente simbolico che ci dà modo di raccontare cosa non funziona. Il sistema di accoglienza in Italia va bene o no? È giusto che le frontiere siano aperte solo per gli europei e non per gli altri?

Inizialmente ci sono state ostilità e indifferenza. Tutti sanno che da 5 mesi c’era il flusso, molti hanno sperato che il fenomeno non li riguardasse direttamente. Il vescovo [Alfonso Baldini Confalonieri, ndr] avrebbe potuto aprire una porta nei locali dei salesiani o altrove, fare delle dichiarazioni di solidarietà, chiedere ai parroci di intervenire, di dare una mano. Al momento abbiamo visto l’aiuto solo di cittadini della valle, come ad esempio le persone che portano qualcosa da mangiare tutte le sere alla saletta di Bardonecchia. Proprio ieri alcuni parroci della valle ci hanno comunicato la possibilità di utilizzare questa sala e si sono offerti di portare anche loro del cibo.

Cosa sta cambiando alla frontiera con la Francia?

Davide Rostan su La7 a “L’aria che tira”

Da quando il flusso di quelli che vogliono andare in Francia si è spostato su Claviere, abbiamo chiesto ai sindaci di intervenire. È stato fatto presente che ogni giorno, da Natale, a Claviere transitano 20, 30, 40 persone, che riescono solo in parte a passare la frontiera. Sono persone che vengono dagli hotspot, dal sud Italia, altri che magari sono qui da più tempo e non hanno avuto protezione internazionale, poi ci sono quelli che vogliono ricongiungersi con amici e parenti, francofoni che pensano di avere più facilità a ricostruirsi una vita in Francia, nonostante lì ci siano maggiori difficoltà per ottenere il diritto di asilo. Abbiamo incontrato ragazze vittime di tratta, ragazzini con arti congelati, donne incinte, fra cui quella che è stata respinta dalla gendarmeria francese e poi è morta all’ospedale Sant’Anna di Torino.

E i flussi che passavano da Bardonecchia?

Prima si passava dal Colle della Scala a piedi, ma era pericoloso, per il freddo e le slavine, quindi da Bardonecchia non sale più tanta gente. Il passa parola ha fatto sì che il flusso si spostasse su un percorso più “facile”, in treno fino a Oulx, poi in autobus fino a Claviere. La tratta Oulx-Monginevro-Briançon ha più corse al giorno, poi un tratto a piedi al Colle del Monginevro.

Ci sono delle strutture idonee all’accoglienza dei migranti in transito?

No. A Bardonecchia la ONG Rainbow4africa ha avuto in gestione la saletta d’attesa della stazione. La sala è stata chiusa dalle ferrovie e poi riaperta dal sindaco su ingiunzione del Prefetto. Forse la ONG metterà a disposizione un pullmino, una specie di stazione mobile di primo soccorso, con a bordo un mediatore culturale. Si è cercato di coinvolgere direttamente i sindaci dell’alta valle. A Claviere non c’è nulla, è stato chiesto al sindaco di trovare una sala, c’era la gente per strada. Serviva un rifugio provvisorio per la notte e abbiamo usato la sala che c’era a disposizione. Ma serve una soluzione a lungo termine, perché le persone continueranno ad arrivare e a spostarsi. E serve anche un posto attrezzato e caldo dove queste persone possano semplicemente riposarsi, dopo viaggi che in media durano una settimana, in cui magari non hanno nemmeno mangiato tutti i giorni.

Quante persone sono coinvolte nel soccorso e nell’aiuto dei migranti in transito nelle zone montane?

“Briser les frontières”, marcia di solidarietà con i migranti del 14 gennaio 2018, da Clavière (Italia) a Mongenèvre (Francia)

Ci sono circa 200 cittadini volontari sul versante di Briançon e circa 100 sul versante italiano. Persone che distribuiscono scarpe, giacche, cibo, che cucinano, danno assistenza legale, fanno i turni sui luoghi di transito recuperando chi torna dalla frontiera, chi mette a disposizione la propria casa, come la signora che ospita un ragazzo sulla sedia a rotelle o il giovane che per un mese ha accolto due cugini, di cui uno con la mano congelata. Ma sono molte di più le persone coinvolte, se contiamo chi raccoglie vestiario e beni di prima necessità. Pensiamo a Benoit Ducos, di Briançon, uno dei pochissimi fermati, arrestato mentre cercava di portare in salvo una famiglia con due bambini piccoli che erano in ipotermia. Poi ci sono le associazioni e le reti BriserLesFrontieres, Tous migrants, Diaconia valdese e molte altre.

Secondo lei quali soluzioni strutturali si potrebbero adottare?

Penso che ci stiamo dimenticando la radice del problema. Siamo alla guerra tra poveri, ci si permette di chiedersi se un migrante sia o no un migrante economico, come se questo fosse una discriminante. Parliamo di individui senza diritti, quando noi stessi, noi italiani, siamo e siamo stati migranti economici. La guerra stessa fa parte del meccanismo economico. Ma quello che abbiamo fatto noi sulla frontiera alpina, come volontari, è stato funzionale a un sistema che è interessato a che “non ci scappi il morto” e che ci siano i turisti. Noi portiamo pasti e coperte, stiamo attenti che nessuno si faccia male, ci fregiamo del fatto che funziona bene la collaborazione fra i volontari. La verità è che a livello istituzionale non si fa niente e ci si continua a illudere che, per risolvere le cose, basta che nessuno si faccia male.