Roma (NEV), 2 luglio 2018 – “Ancora una volta il summit ha perso la possibilità di discutere su come l’arrivo e l’integrazione dei rifugiati possano essere un successo per tutti, discutendo invece di piani illusori per respingere le persone”, così ha dichiarato il segretario generale della Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME) Torsten Moritz, a conclusione del Consiglio europeo tenutosi il 28 giugno a Bruxelles.
La CCME, che dalla sua recente Assemblea generale ha lanciato il messaggio “Non abbiate paura ma speranza”, ha anche espresso insoddisfazione rispetto alle piattaforme di sbarco in paesi terzi. “Nel peggiore dei casi, ciò porterà ai confini dell’Europa qualcosa di simile a quanto vivono i rifugiati di Guantanamo e destabilizzerà i paesi ospitanti. Se l’Unione europea (UE) vuole sostenere la protezione dei rifugiati nelle regioni di origine o di transito – ha proseguito Moritz – potrebbe sostenere i numerosi campi esistenti, ad esempio in Giordania o Uganda”. Riguardo ai “centri controllati” all’interno dell’UE, “non è chiaro come dovrebbero essere questi hotspot. Se implicano il blocco delle persone richiedenti asilo, sono in violazione del diritto europeo e internazionale. L’UE dovrebbe esaminare le cause per cui anch’essa contribuisce ai motivi per cui le persone fuggono: ingiustizia economica, mancata risposta ai cambiamenti climatici, esportazioni di armi e altre politiche”.
Parole di preoccupazione sono state espresse anche dalla Conferenza delle chiese europee (KEK) per voce del segretario generale Heikki Huttunen: “Quando chiediamo passaggi sicuri, chiediamo all’Europa un sistema di accesso sicuro e regolare per chi ha bisogno di protezione e per i migranti economici. Questa è la strategia che dobbiamo perseguire per ridurre la migrazione irregolare e i morti alle frontiere”. No alla “fortezza Europa”, quindi. A queste voci si aggiungono quelle olandesi di Kerk in Actie, insieme a 19 organizzazioni della società civile, e il presidente della Diaconia in Germania, Ulrich Lilie, che ha osservato: “Non possiamo rifiutarci di concedere asilo a chi ha bisogno se vogliamo rimanere un’Europa dei diritti umani”.
In Italia, la Diaconia valdese – in una nota diffusa all’indomani del Summit – parla di “una mediazione fra posizioni e interessi molto distanti caratterizzati da quelli che una volta si chiamavano egoismi nazionali che ora sono identificati come sovranismi. I risultati concreti sono molto pochi, se si escludono i fondi per l’Africa (pochi) e per la Turchia (molti), ma non è certo un documento politicamente neutro: esprime una unanime volontà di chiusura e di controllo poliziesco del fenomeno migratorio”. Nel rimarcare la necessità di un superamento del Regolamento di Dublino, la Diaconia esprime perplessità e timori per un documento “che abbraccia una visione securitaria, dimentica i doveri di solidarietà ed accoglienza e prelude ad un Europa arroccata ed escludente”.
Intanto, domani un nuovo corridoio umanitario è in arrivo dal Libano. “Nonostante tutto, esistono un’Italia e un’Europa della solidarietà e dell’accoglienza che meritano più attenzione e rispetto – ha dichiarato Paolo Naso, coordinatore della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) per Mediterranean Hope, Programma rifugiati e migranti, tra i promotori del progetto ecumenico dei corridoi umanitari.