Roma (NEV), 4 luglio 2018 – È attraccata oggi al porto di Barcellona la nave Open Arms della ONG spagnola Proactiva, con a bordo 60 naufraghi salvati nel Mediterraneo centrale. Mediterranean Hope – Programma Rifugiati e Migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) – ha stabilito un partenariato con questa ONG, sostenendone attività e programmi. Nell’ambito di questo accordo, per conto della FCEI l’operatore sociale Daniele Naso ha partecipato alla missione in qualità di cuoco, preparando pranzi e cene per l’equipaggio e, in occasione delle operazioni di soccorso, anche per tutti i naufraghi. All’arrivo lo abbiamo intervistato.
Con questa sei alla tua terza missione con Proactiva Open Arms. Che cosa ti ha spinto a fare questo tipo di esperienza?
Non si può rimanere indifferenti riguardo a quello che sta succedendo nel Mediterraneo. Per questo ho sentito la necessità di mettermi in gioco in prima persona e di dare un contributo alla storia di Open Arms.
Alla partenza della vostra missione, le autorità maltesi hanno negato i loro porti per le ordinarie operazioni di rifornimento di cibo e di carburante della Open Arms; effettuato il salvataggio, i porti italiani sono restati chiusi; le autorità libiche vi hanno vietato di operare un altro salvataggio. Di fronte a tutto questo, come vedi il futuro dell’azione delle ONG?
Quello che potrebbe succedere in un futuro a breve o a medio termine, nessun può saperlo. Quello che sappiamo di certo è che le cose stanno peggiorando di giorno in giorno. Negli ultimi due mesi sono cambiate di molto le condizioni in cui si opera in questo tratto di mare, condizioni rese sempre più difficili dalle politiche di vari paesi dell’Unione europea. Italia e Malta si sono attivate per ostacolare il lavoro delle ONG. Possiamo sperare che in futuro questo cambi e, invece di complicare i soccorsi in mare, li si agevolino senza troppe polemiche.
A bordo avete vissuto emozioni forti e diverse, di gioia e di sconforto. Come li si affrontano?
Momenti di gioia e momenti di sconforto vengono affrontati da ognuno in maniera diversa. Chiaramente dipende dall’attitudine individuale, dal modo di porsi di fronte a queste situazioni. Quanto a me non mi sono mai sentito in pericolo. L’unica sensazione di difficoltà è stata al momento della coordinazione dei soccorsi, quando abbiamo intercettato il gommone alla deriva. Finché non abbiamo avuto l’autorizzazione a coordinare noi stessi il soccorso, avevamo paura per le vite dei naufraghi, perché abbiamo percepito un reale pericolo per loro di essere imbarcati dalla guardia costiera libica e quindi di essere riportati in Libia.
Il momento più bello di questa missione?
Dopo il soccorso, quando abbiamo concluso tutte le procedure ordinarie e abbiamo detto ai naufraghi che ci stavamo dirigendo verso Barcellona e di sicuro non li avremmo riportati in Libia. Ci sono state urla di gioia, abbracci, canti… veramente un bel momento, la fine di una storia terribile per tutti loro.
Il momento più brutto?
Quello dei racconti, dei racconti delle torture subite nelle prigioni libiche. E vedere i segni di queste torture. Sì, è questo il ricordo più brutto.
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— Open Arms (@openarms_fund) July 4, 2018