Roma (NEV), 19 luglio 2018 – “Come chiese siamo profondamente preoccupate per le ingiustizie create dal cosiddetto ‘ambiente ostile’”. Non è solo un allarme quello che lanciano quattro chiese protestanti britanniche – la Chiesa di Scozia, la Chiesa metodista di Gran Bretagna, la Chiesa riformata unita, l’Unione battista britannica – ma un vero atto d’accusa verso le politiche migratorie del governo di Westminster.
Cosa sia l’ambiente ostile (hostile environment) – termine coniato da Theresa May nel 2012 quando era Ministro dell’interno – lo spiega il rapporto prodotto su questo tema dal Gruppo di lavoro congiunto sulle questioni pubbliche (JPIT): “L’ambiente ostile è una ragnatela di politiche governative tese a rendere la vita impossibile a chi non può provare di risiedere legittimamente in Gran Bretagna tanto da dover abbandonare” il Paese.
A venire recentemente colpita da questa strategia politica – che, denunciano le chiese, colpisce persone che vivono in Gran Bretagna da decenni – è stata la cosiddetta Generazione Windrush: migranti giunti nel Regno Unito tra il 1948 e il 1971 dalle colonie e dai paesi del Commonwealth, prevalentemente dai Caraibi e prevalentemente cittadini britannici.
A molti di loro, o ai loro discendenti, è stato recentemente chiesto di produrre una precisa documentazione sull’ingresso in Gran Bretagna senza la quale avrebbero perso casa, lavoro e assistenza sanitaria statale. Ne è seguito uno scandalo di grandi proporzioni che ha portato nelle scorso aprile alle dimissioni del Ministro dell’interno Amber Rudd perché è stato possibile dimostrare come l’accaduto non dipendesse da ottusità burocratica ma da una precisa volontà politica.
“Tuttavia, il trattamento ricevuto dalla Generazione Windrush non è che la punta dell’iceberg”, si legge nel rapporto che nel proprio titolo indica le tre ingiustizie a cui va incontro chi oggi non è in grado di produrre, per qualsiasi motivo, la documentazione richiesta: “Riduzione in miseria, discriminazione, sospetto”.
“L’ambiente ostile usa la minaccia della riduzione in povertà (destitution) come uno strumento politico”, denuncia il rapporto del JPIT: chi infatti non può presentare la documentazione richiesta rischia di perdere il diritto alla casa, al lavoro e alle cure mediche del sistema sanitario nazionale.
Secondo le quattro chiese, in questo modo si creerebbe un gruppo di individui esposti allo scrutinio di padroni di casa, datori di lavoro, operatori sanitari, ed anche di semplici cittadini, quindi possibili oggetto di discriminazioni e circondati dal sospetto.
“Come cristiani – rispondono le chiese nel rapporto – affermiamo la dignità di ogni essere umano e riteniamo che la riduzione in povertà non possa mai e poi mai essere usata come strumento delle politiche del governo. Crediamo che il razzismo e altre forme di discriminazione siano una negazione dell’evangelo. Crediamo che Dio ci chiami a delle relazioni basate sulla mutualità e interdipendenza e non sulla sfiducia e il sospetto”.
Con questo rapporto – che propone dati, storie, riflessioni e proposte d’azione – le quattro chiese protestanti si preparano a lanciare una campagna contro queste politiche governative, sensibilizzando l’opinione pubblica e, soprattutto, chiedendo a singoli e a chiese locali di far pressione sui deputati eletti nei rispettivi collegi.