Roma (NEV), 22 ottobre 2018 – “Ribadiamo il nostro appello a decriminalizzare l’assistenza umanitaria per le persone che cercano sicurezza, dignità o protezione, indipendentemente dal loro status, e a sostenere il diritto di chi legittimamente protesta per le proprie condizioni di vita inaccettabili. Insistiamo sulla necessità di creare passaggi sicuri verso l’Europa, come i ‘corridoi umanitari’, progetti pilota già lanciati dalla chiesa protestante ad Andorra, in Belgio, in Francia e in Italia”.
Si è conclusa ad Atene il 20 ottobre con una Dichiarazione congiunta la Conferenza europea sull’asilo “Solidarity first – Reclaiming the values and principles of Europe” organizzata da Diaconia tedesca (Diakonie Deutschland) e Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME).
I 150 partecipanti, tra i quali Fiona Kendall e Alberto Mallardo di Mediterranean Hope (MH), programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), hanno soggiornato sull’isola di Chios e ad Atene. In entrambe le località, oltre alle relazioni e ai gruppi di lavoro, erano previste delle visite agli hotspot, nei campi profughi e in progetti e servizi per i migranti.
Nella dichiarazione finale i partecipanti hanno chiesto la fine dell’approccio hotspot, il trasferimento immediato dei richiedenti asilo dalle isole al continente, un miglioramento immediato delle condizioni di accoglienza, la fine dell’esternalizzazione della politica dell’Unione Europea in materia di asilo, la creazione di un sistema europeo comune di asilo basato su elevati standard di accoglienza e l’istituzione di passaggi sicuri.
“A Chios, siamo rimasti scioccati nell’osservare le indegne ed umilianti condizioni dei rifugiati che sono bloccati lì – prosegue la dichiarazione – Siamo anche molto preoccupati per l’impatto sulla popolazione locale, che si sente abbandonata, e irritati dall’apparente mancanza di responsabilità tra i diversi attori, come l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), Frontex, autorità greche, nell’accoglienza e nelle procedure di asilo”.
Alberto Mallardo di MH dopo la visita all’hotspot di Vial, nell’isola di Chios ha raccontato che il centro “ospita 2180 persone, costrette a vivere in un campo che potrebbe ospitarne al massimo 1200. Tra loro 400 donne (110 in stato interessante) e circa 600 minori. La maggioranza delle persone arriva da paesi in conflitto come la Siria (23%), l’Afghanistan (10%), l’Iraq (26%) e la Palestina. L’hotspot, inaugurato nel 2015, su indicazione dell’UE, sorge all’interno di un complesso per lo stoccaggio e il riciclaggio dei rifiuti, a oltre 10 Km dal paese. I rifugiati condividono gli spazi con i camion della spazzatura che vanno e vengono, tra i miasmi che provengono dai cassoni carichi di rifiuti. Oltre 800 persone sono confinate in container, mentre 900 sopravvivono all’interno di semplici tende da campeggio, senza acqua calda, riscaldamento, con insufficiente elettricità e costantemente allagati dagli scarichi delle fognature”.
Anche la dichiarazione finale della Conferenza riferisce della situazione negli hotspot e sottolinea come queste condizioni di vita “minano i diritti fondamentali e la stessa dignità umana. Questa è la ragione dei molti tentativi di suicidio, del deterioramento della salute dei detenuti che non hanno accesso a livelli di vita e sanitari adeguati, così come all’istruzione”.
Fiona Kendall, dopo la visita al campo, ha dichiarato che “le condizioni critiche dell’hotspot di Vial rendono impossibile la vita delle persone trattenute al suo interno. I migranti intrappolati sull’isola da mesi se non da anni, in seguito al vergognoso accordo tra UE e Turchia, sono un esempio del perché le politiche sulle migrazioni dell’UE dovrebbero essere urgentemente riformate”.