Roma (NEV), 24 ottobre 2018 – Nell’ambito degli approfondimenti proposti da NEV per la prossima Assise della FCEI, abbiamo intervistato, sul tema dell’ecumenismo, il pastore Luca Baratto, responsabile delle relazioni ecumeniche internazionali e segretario esecutivo della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
Qual è il suo bilancio del triennio sul dialogo ecumenico? Si è davvero creato un clima ecumenico favorevole?
Sì, direi di sì. Certo non ovunque – basti pensare alla recentissima frattura creatasi tra i patriarcati di Mosca e di Costantinopoli per l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina -, ma certamente in Italia questi ultimi tre anni di attività hanno confermato che la stagione ecumenica è volta al bel tempo, rendendo più fraterno e aperto l’incontro tra le diverse chiese cristiane e, per quel che ci riguarda più da vicino, tra le chiese protestanti e la chiesa cattolica romana. Un incontro che è stato paradossalmente facilitato dalla celebrazione dei 500 anni della Riforma protestante che ha avuto un marcato profilo ecumenico, impresso prima di tutto da parte protestante e decisamente accolto, dopo qualche tentennamento iniziale, da parte cattolica con la partecipazione di papa Francesco all’apertura del Cinquecentenario a Lund (Svezia) il 31 ottobre 2016, forse, l’evento ecumenico più rilevante del triennio.
Quali frutti ha portato questo inizio di “bella stagione”?
I frutti più significativi sono due. Il primo è costituito dalla partecipazione della FCEI, insieme ad altre chiese evangeliche e, in un secondo momento, a quelle ortodosse presenti in Italia, all’organizzazione degli ultimi tre convegni promossi dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI). Il primo, sui 500 anni della Riforma protestante, tenutosi nel 2016 a Trento, la città del Concilio che nel, XVI secolo ha sancito la divisione teologica tra cattolicesimo e protestantesimo; il secondo, sull’idea di riforma nelle diverse tradizioni cristiane, ad Assisi nel 2017. Il terzo è in programma a Milano dal 19 al 21 novembre 2018 sulla salvaguardia del Creato. Si tratta della ripresa di una collaborazione che era esistita in passato con l’organizzazione dei Convegni ecumenici nazionali, interrottasi nel 2006. L’altro elemento di novità, che ancora però non è un frutto ma sta maturando, è la proposta, emersa dal convegno di Assisi 2016, della costituzione di Tavolo permanente d’incontro delle chiese cristiane in Italia. Portare a maturazione questo progetto è certamente tra le priorità del prossimo triennio.
Considerando le collaborazioni tra le diverse chiese nel campo della diaconia, per esempio sull’accoglienza dei migranti, qualcuno ha parlato di un ecumenismo del fare. Cosa pensa di questa definizione?
Si è in effetti parlato di un “ecumenismo del fare” basato sull’attività diaconale delle chiese. Io preferirei parlare di un “ecumenismo della testimonianza” che impegna i cristiani tutti a trasformare la fede proclamata in scelte precise nella società. La scelta dell’accoglienza, quella della difesa dell’ambiente e dell’affermazione di stili di vita per un futuro sostenibile sono di fatto i tre elementi che ormai sostengono da decenni il cammino ecumenico: la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato che si articolano in ogni tempo in modi diversi – e che non rappresentano un ripiego, rispetto per esempio, al dialogo dottrinale che non avanza, bensì una forza dell’ecumenismo. Non è un caso che il progetto dei Corridoi umanitari abbia una chiara dimensione ecumenica, coinvolgendo la FCEI, le chiese valdesi e metodiste e la Comunità di Sant’Egidio. E non è neppure un caso se nel gennaio 2017 per la prima volta cattolici e protestanti hanno celebrato insieme la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sull’isola di Lampedusa. Un piccolo evento che sottolinea l’altro valore ecumenico del lavoro della FCEI in favore di rifugiati e migranti.
Lo scorso giugno lei ha partecipato all’Assemblea generale della Conferenza delle chiese europee sul tema del futuro dell’Europa. Quale messaggio è emerso da quel consesso ecumenico?
La FCEI è stata presente all’Assemblea generale della Conferenza delle chiese europee che ha riunito le chiese anglicane, protestanti e ortodosse del continente. E’ stato un momento di grande partecipazione, di dibattito, di condivisione di contenuti. Gli oratori, di gran livello, hanno dato la visione di un’Europa aperta all’accoglienza e alla pace, in cui i cristiani possano esprimere la loro testimonianza come costruttori di ponti e di dialogo. Tuttavia, se si lasciava la sala delle riunioni plenarie e si discorreva con i rappresentanti delle diverse chiese si può dire che dai cristiani del continente non emerge un’immagine chiara ed univoca dell’Europa e del suo futuro. Quel che è certo è che ovunque ci sono persone che intendono il cristianesimo come una questione di fede e di obbedienza al vangelo, ne esistono altre che vivono il proprio cristianesimo come una questione di identità che dovrebbe difenderci dall’affermarsi di società multiculturali e multireligiose. Forse questa sarà la prossima vera linea di divisione del dibattito ecumenico.