Roma (NEV), 3 dicembre 2018 – A margine del VII convegno di studi internazionali sul metodismo organizzato dal Centro di documentazione metodista (CDM) e dall’Università La Sapienza di Roma abbiamo incontrato Massimo Aquilante, direttore del CDM e già presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
Siamo giunti alla settima edizione di questi incontri internazionali sugli studi metodisti. Come nascono questi convegni?
Questa bella e fruttuosa collaborazione tra il Centro di documentazione metodista e l’Università la Sapienza nasce nel 2011 per la coincidenza tra l’anniversario dei 150° dell’Unità d’Italia e il 150° dell’inizio della missione wesleyana. Per l’occasione organizzammo un convegno che aveva un carattere prettamente storico. Negli anni questa iniziativa è andata avanti e i risultati di questi incontri sono raccolti in volumi editi da Carocci. Nel frattempo la collaborazione si è allargata e il nostro Centro di documentazione ora sostiene una borsa di studio di dottorato in studi sul protestantesimo e più in particolare sulla storia, teologia e spiritualità metodista.
Nel discorso che ha aperto i lavori lei ha detto due cose. Una, è che le chiese devono fare una confessione di peccato sul tema dei diritti. La seconda, è che oggi questo tema va riveduto rispetto i tempi che viviamo.
La chiara e precisa assunzione di responsabilità delle chiese che richiamavo nel mio intervento non si riferiva, evidentemente, solo al metodismo. Le questioni sulle quali oggi le chiese sono chiamate a pronunciarsi sono gravi e urgenti, e non sempre, anche dal punto di vista teologico, c’è stata una reazione propulsiva e efficace; al contrario in molti casi si sono adottati schemi e paradigmi regressivi. Invece davanti a noi c’è uno scenario da esplorare con coraggio, e si tratta anche di rinunciare in parte alle nostre matrici di pensiero occidentali. In questo caso specifico il tema del creato è centrale perché ci rimanda al tutto, all’interconnessione, e propone un chiaro messaggio di ridimensionamento del discorso di onnipotenza dell’uomo economico che domina questi nostri tempi. C’è qui un ampio materiale biblico a cui attingere per rinnovare la predicazione e l’azione delle chiese, ovviamente insieme agli altri soggetti che compongono la società.
Ha anche fatto un riferimento al fenomeno migratorio. In che modo questo interpella le chiese e la società?
C’è chi intende l’opera della chiese verso le persone che arrivano sulle nostre coste a senso unico, e cioè “dobbiamo fare del bene”, dobbiamo agire per carità. Ciò non è sbagliato, ma non è solo questo. La persona che arriva disegna uno scenario in cui noi non siamo solo spettatori ma siamo coinvolti, tirati dentro anche dal punto di vista di una critica e di una assunzione di consapevolezza che il problema ci riguarda. Non si può dire solo “Aiutiamoli a casa”, oppure “Se vengono qui devono sottostare alle nostre regole”. Queste sono contingenze che vanno regolate con la sapienza umana e quella della politica, ma c’è di più. Quella donna, quel bambino che arrivano da noi ci parlano, ci incarnano. Sono una parabola dell’annuncio del mondo nuovo di Dio e noi non siamo solo spettatori. Sta a noi decidere da che parte schierarsi.
Relatori e pubblico del convegno
Foto di Pino Petrachi