“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
(articolo 1 della Dichiarazione universale dei Diritti umani)
Roma (NEV), 10 dicembre 2018 – Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi proclamava la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, un documento che ha segnato uno dei momenti più alti nella storia dell’umanità e che ha stabilito, per la prima volta, i diritti umani fondamentali che devono essere protetti e promossi in tutto il mondo. Elaborata da rappresentanti di tutte le regioni del mondo provenienti da differenti contesti giuridici e culturali, la Dichiarazione si pone come modello ideale comune per tutti i popoli e le nazioni.
A 70 anni dalla sua proclamazione il tema dei diritti umani continua ad essere di grande attualità e complessità e coinvolge profondamente anche le chiese. Ne abbiamo parlato con il pastore Peter Ciaccio, che ha fatto parte per lungo tempo del Gruppo di lavoro su diritti umani e libertà religiosa della Conferenza delle chiese europee (KEK).
Per prima cosa un bilancio di questa ricorrenza.
Gli anniversari sono ovviamente occasione di valutazione e di riflessione e spesso mettono in luce i limiti e le difficoltà che si incontrano nella concretizzazione di convenzioni e dichiarazioni. Nel caso dei diritti umani si è parlato molto di una mancata attuazione di alcuni principi enunciati nella Dichiarazione. Questa insoddisfazione è comprensibile, ma in un certo senso è il segno concreto che una mentalità in cui i diritti sono presenti e sono considerati inalienabili è ormai installata. Ciò significa che tutti noi dobbiamo confrontarci con questa realtà e che quindi la cultura dei diritti umani ha vinto.
Come le chiese protestanti hanno recepito l’impianto normativo e etico dei diritti umani?
L’aspetto che più ha interessato le nostre chiese è quello della libertà di religione e di coscienza dell’individuo. Un principio che ci dice che non bisogna conformarsi alla religione dello stato, della maggioranza o della tradizione, ma essere in accordo con la propria coscienza. Credo che l’aspetto più interessante che hanno introdotto i diritti umani è quello di focalizzarsi su una norma che mette al centro la persona e non le istituzioni. Tuttavia proprio in questa dialettica tra ambito personale e ambito comunitario insistono le maggiori difficoltà nella loro applicazione. Infatti, se esiste una concordia generale sul fatto che tutti gli esseri umani, in quanto creati a immagine e somiglianza di Dio, sono uguali, tuttavia quando si affrontano argomenti più concreti emergono delle differenze: ad esempio tra i diritti dei bambini e quelli della famiglia; quanto un bambino può decidere da sé e quanto invece la famiglia decide per lui sull’istruzione religiosa? Un altro dissidio nasce sulle questioni della omoaffettività che mettono in evidenza come ci sia una tensione, non solo all’interno delle chiese ma anche tra chiese e società, proprio riguardo al tema dei diritti della persona. Sui diritti collettivi e sociali invece mi sembra ci sia un’affermazione più generale e condivisa.
L’importante è vivere questa tensione con una mentalità dinamica, una predisposizione a riflettere e a mettersi in discussione.
Sui diritti dei bambini e delle bambine sta affiorando negli ultimi anni un’attenzione speciale, anche in conseguenza degli abusi che sono emersi.
Nel 2015 il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) ha sottoscritto un accordo con l’UNICEF per la promozione e la protezione dei diritti dell’infanzia, una collaborazione diretta al monitoraggio e alla promozione dei diritti dei bambini presso le chiese membro del CEC e i suoi partner ecumenici con un’azione capillare, indirizzata a ogni singola comunità presente nel il mondo. È di poche settimane fa la pubblicazione di un Rapporto della Chiesa riformata unita di Gran Bretagna, redatto da una commissione indipendente, che ha reso noti gli abusi, anche su bambini e bambine, e ha offerto suggerimenti alle chiese per migliorare il proprio agire. Questo esprime una nuova visione dei diritti umani in un ambito in cui le chiese non sono esenti da gravi colpe. Tuttavia stanno crescendo una nuova idea e una nuova coscienza che spingono le chiese ad affrontare questo problema sia a livello globale per quanto riguarda i bambini e bambine che muoiono per guerre e malnutrizione, sia a livello della protezione di bambini nelle chiese e nella società.