Roma (NEV), 29 marzo 2019 – È iniziato oggi fra le polemiche, a Verona, il XIII congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families, WCF). In contemporanea, diverse contro-manifestazioni fra cui quella della rete internazionale femminista di #NonUnaDiMeno, che si è mobilitata per essere presente a Verona con un corteo, il 30 marzo, e tre giorni di conferenze, laboratori, spettacoli e performance. Domenica ci sarà anche un’assemblea transnazionale con Marta Dillon (Ni Una Menos Argentina), insieme ad attiviste dei movimenti spagnoli, polacchi, irlandesi, croati, olandesi e francesi. #NonUnaDiMeno, nel rivendicare la “potente sollevazione globale delle donne che sta facendo saltare un ordine basato su coercizioni, sfruttamento e gerarchie”, contesta l’idea di famiglia patriarcale proposta dal WCF, dove “si produce e riproduce un modello sociale gerarchico e sessista: è il luogo dove si verificano la maggior parte delle violenze di genere ed è il dispositivo che riproduce la divisione sessuale del lavoro e dell’oppressione e strumento ideologico utilizzato per scopi razzisti”.
Abbiamo chiesto a Silvia Rapisarda, pastora delle chiese battista e valdese di Catania, di parlarci del paradigma familiare nella Bibbia, tema di uno degli ultimi seminari del Movimento femminile evangelico battista (MFEB). Nel suo saggio, Rapisarda analizza i modelli familiari nelle tradizioni bibliche, nella storia d’Israele, i racconti della creazione, le genealogie, i concetti di patrilinearità e matrilinearità, evidenziandone anche le dissonanze. Nel capitolo conclusivo, ha analizzato la figura di Gesù, l’istituzione famiglia e il paradigma familiare nella sua vita e nei suoi insegnamenti.
“Gesù sembra dare poca rilevanza a molte delle convenzioni sociali del suo tempo, non da ultime la trasmissione dei beni, il matrimonio, la procreazione. Nella sua missione sospende, quando non abolisce del tutto, gli assetti sociali e le tradizioni. Egli stesso ha lasciato la sua casa e la sua famiglia, non lavora e non possiede nulla. Gesù chiama fuori dall’istituzione ‘famiglia’ i suoi discepoli e le sue discepole, come egli se n’è tirato fuori, ed entra in conflitto con la sua stessa famiglia quando questa rivendica su di lui autorità e, ritenendolo pazzo, vuole riportarlo a casa.
Nella narrazione evangelica colpisce l’assenza dei padri quando Gesù entra in contatto con l’ambiente domestico dei suoi discepoli e delle sue discepole. Egli si muove in ambienti familiari in cui la generazione anziana maschile, che rappresenta in modo stabile il potere patriarcale, è assente o resa invisibile. Gesù pone in essere relazioni nuove, entrando in conflitto con l’istituzione familiare, e nel farlo utilizza il paradigma familiare per rappresentare la comunità che chiama intorno a sé: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre” (Mc 3:34b-35). A coloro che per seguirlo hanno lasciato tutto e si chiedono se ne sia valsa la pena, Gesù dice: “In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi per me e per il vangelo che ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli/e, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna” (Mc 10:29-30). Nella comunità discepola di Gesù si può entrare come fratelli, come sorelle, come madri, come figli/e, ma non come padri.
Gesù pone in essere relazioni nuove, con Dio e tra coloro che lo seguono. Rifiuta sia la centralità del tempio nella vita religiosa sia la centralità della famiglia tradizionalmente intesa nella società. Rifiuta sia l’autorità sacerdotale sia l’autorità patriarcale: “Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il padre vostro, quello che è nei cieli” (Mt23:9).
Gesù, per contro, non attribuisce a se stesso titoli di potere, mai si proclamò Messia con la sua doppia valenza di autorità sia politica sia religiosa, ma si definisce diacono-servitore (Mc 10:42-45). Non aderisce ai costumi sociali del ruolo maschile. Interagendo con le donne in modo libero e non convenzionale si fa ospitare a casa di una donna (Lc 10:38-41). Si relaziona con la donna suscitando l’indignazione degli uomini presenti (Lc 7:36ss). Affronta con la donna discorsi tradizionalmente di pertinenza maschile, suscitando la meraviglia degli uomini che erano con lui (Gv 4:1ss). Non si allea con gli uomini in difesa dell’onore maschile (Gv 8:1-11). Al culmine del suo ministero esemplare fatto di servizio e dono di sé, negli ultimi giorni di vita a Gerusalemme, egli indica due donne come esempio della vera fede fatta di dono e di servizio (Mc 12:41-44 e 14:3-9). Nell’incalzare della drammaticità degli eventi, si va sempre più delineando una netta separazione tra i componenti maschili e le componenti femminili della comunità discepola.
Al cospetto della via della debolezza/impotenza scelta da Gesù, i discepoli tradiscono, rinnegano, fuggono. Le discepole restano al suo fianco e all’alba del nuovo giorno porteranno ai discepoli quel messaggio che darà loro il coraggio di tornare sui loro passi e incontrare anch’essi il risorto. Nel Vangelo di Giovanni vi è un’unica eccezione. L’unico discepolo che resta con le donne ai piedi della croce è il giovane che Gesù ama, che affida a sua madre come nuovo figlio e al quale affida sua madre come nuova madre. Così facendo il paradigma familiare si estende anche alla comunità che sussisterà successivamente: la chiesa. Essa è famiglia di adozione reciproca”.
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