Roma (NEV) – 27 aprile 2019 – Da tre anni Daniela Barbuscia è referente della Diaconia della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI). La sua relazione al Sinodo, in corso a Roma fino al 28 aprile, ha raccontato una grande vivacità di progetti e relazioni e ha raccolto il favore dell’intera comunità sinodale. L’Agenzia NEV le ha rivolto alcune domande per approfondire la conoscenza dell’azione delle comunità luterane in Italia e gettare uno sguardo sulle sfide per il futuro.
Come sono stati questi anni di servizio, sia dal punto di vista delle attività realizzate, che dal punto di vista personale?
Quando ho iniziato a collaborare con la Chiesa evangelica luterana in Italia non esisteva una struttura organizzativa che coordinasse il lavoro della diaconia. Durante il primo giro di contatto con le comunità, per cercare di capire a che punto fossero i progetti sociali e l’azione sul territorio, ho trovato situazioni e sensibilità differenti. C’erano molti progetti culturali e poche attività sociali. La mia prima azione è stata quella di creare una rete e trovare un referente per ogni comunità. Ho anche notato che c’era una carenza di risorse umane e quindi ho cercato di mettere di comunicazione le comunità per proporre e sostenere insieme progetti comuni. Ho scelto di offrire attività e progetti che si potessero realizzare con poche risorse che rispondessero ai bisogni del territorio e che potessero cementare un legame tra la comunità e il territorio. Posso dire che gran parte degli obiettivi che mi ero proposta sono stati compiuti. A distanza di più di due anni sono fiorite molte attività e progetti locali, ad esempio Granello di senape della comunità di Sicilia (insieme alla chiesa valdese e battista), Imparo ciò che vivo sostenuto dalle comunità di Trieste e di Roma, Ritorno a casa seguito dalla comunità di Napoli, Happy english in cui tutte le comunità luterane sostengono un progetto a Norcia, +kespaziogiovani della comunità di Torre Annunziata, Casa rifugio della comunità di Bolzano. Dal punto di vista personale è stata un’esperienza che mi ha arricchito. E’ stata insieme una sfida, un modo di declinare il mio servizio e un privilegio. Poter mettere in campo le mie competenze per aiutare a costruire l’opera del Signore era un mio desiderio da sempre.
Il tuo impegno ti ha portato in giro nelle varie comunità luterane in Italia; cosa hai scoperto? Qual è l’impegno sociale delle comunità luterane?
Ho trovato dei referenti fortemente motivati che hanno voglia di studiare e capire quello che avviene nel loro territorio. Ho trovato comunità che stanno crescendo tanto e aumentano il proprio interese a sviluppare a livello locale questo aspetto. Queste attività sono anche una maniera di tenere insieme la comunità e far crescere la coscienza, che fa parte dell’essenza di un cristiano, di essere presente nelle situazioni in cui c’è bisogno di dare aiuto e testimonianza.
Quali sono le sfide che la chiesa luterana ha davanti a sé, dal punto di vista dell’azione nella società?
Il mio desiderio sarebbe che ogni comunità faccia un progetto locale e che faccia maturare nelle persone la voglia di impegnarsi in prima persona. I progetti sono risorse importante anche per la stessa comunità. Sono testimonianza, modo di lasciare la propria impronta sul territorio, maniera di dimostrare la propria solidarietà. Questo agire ci definisce come cristiani.
C’è un progetto che ti sta particolarmente a cuore e che ancora non hai potuto realizzare?
Credo molto in queste attività locali ma mi piacerebbe che potessimo mettere in campo un progetto nazionale, utilizzando magari un bene comune. Paolo Musso, presidente della comunità di Genova mi ha parlato di un progetto di inserimento sociale e lavorativo per ex carcerati, magari utilizzando un bene comune confiscato. Questo è un sogno e una sfida che spero di poter realizzare.