Roma (NEV), 15 maggio 2019 – A Basilea, io c’ero. Lo dico con orgoglio perché si è trattato forse dell’unico caso in cui ho partecipato a un evento che si può definire una pietra miliare del movimento ecumenico europeo. Il fatto è che l’intera Facoltà valdese di teologia – poco più di una ventina di persone in tutto – era presente alla Prima Assemblea ecumenica europea – tenutasi dal 15 al 21 maggio del 1989 nella città elvetica -, assieme a una nutritissima delegazione delle chiese protestanti in Italia.
Una caratteristica della vita dello studente, qual ero a quell’epoca, è l’inconsapevolezza. Sono dovuti passare alcuni anni per capire quanto importante fosse quell’evento e quanto abbia influito sulla mia coscienza ecumenica; e anche per realizzare quanto fossi fortunato a studiare presso quel piccolo ateneo che è la Facoltà valdese, capace di offrire le più svariate esperienze europee, grazie all’affetto e all’aiuto di molte chiese sorelle – nel caso di Basilea, presumo, delle chiese svizzere.
Ho conservato la Guida all’assemblea, un volumetto di 300 pagine, che in questi giorni mi sono ritrovato a sfogliare. Si apriva con i saluti degli organizzatori Jean Fischer, segretario generale della Conferenza delle chiese europee, e di Ivo Fürer, segretario generale della Commissione delle Conferenze episcopali europee (CCEE). Incontro regionale del processo conciliare mondiale “Giustizia, pace e integrità del Creato”, l’Assemblea, spiegavano, “si propone la ricerca di una risposta della fede cristiana alla crisi globale che minaccia la sopravvivenza dell’umanità e della natura”.
E’ stata la prima volta in cui la questione ambientale ha avuto un tale spazio e sia stata tematizzata in profondità dalle chiese europee – cattolica, ortodosse e protestanti, nessuna esclusa. Pochi anni prima, nel 1986 si era verificata la tragedia di Chernobyl; ma forse non tutti ricordano che pochi mesi dopo l’incidente nucleare, nello stesso anno, proprio a Basilea un incendio negli stabilimenti Sandoz provocò la fuoriuscita di materiali chimici che fecero diventare rosso il Reno e causarono una moria di pesci: un disastro ambientale nel cuore dell’Europa, tanto che alcuni parlarono di una Cherno-Bâle (dal nome francese di Basilea).
A Basilea, anche uno studente inconsapevole com’ero poteva respirare la forza di cambiamenti imminenti. Lo si poteva sentire dalla voce di Frank Chicane, segretario generale del Consiglio delle chiese del Sudafrica, che parlava di come abbattere l’apartheid con mezzi nonviolenti; nelle testimonianze della Società degli amici, i Quaccheri, sulla loro attività di pacificazione in Irlanda del Nord. Si avvertiva soffiare quel vento di pace e non violenza che avrebbe, pochi mesi dopo, fatto cadere il muro di Berlino, portando a compimento le speranze e la ragion d’essere della Conferenza delle chiese europee, nata proprio per gettare ponti tra l’est e l’ovest del continente.
La speranza di un’Europa senza confini e senza muri fu celebrata dalla Marcia delle tre nazioni che sfruttava la particolare posizione geografica, a cui ha sempre corrisposto un atteggiamento culturale di apertura, della città di Basilea, confinante sia con la Francia che con la Germania. Migliaia di persone – tra cui anche mons. Carlo Maria Martini, presidente della CCEE – attraversarono i tre confini senza esibire alcun documento, passando dalla Svizzera alla Francia, dalla Francia alla Germania e nuovamente in Svizzera.
Nelle pagine bianche della Guida all’Assemblea ho ritrovato annotati gli appuntamenti a cui ho partecipato. Ne cito solo due: il discorso in plenaria di Aruna Gnanadason, segretaria del Consiglio nazionale delle chiese dell’India, che mostrava come il tema della pace, giustizia e integrità del Creato non avesse senso senza una parola che giungesse dal sud del mondo e, di conseguenza, da un atto di confessione di peccato da parte del continente europeo per lo sfruttamento di altri continenti.
E poi il programma colorato e aperto della “Frauen Boot”, la “Nave delle donne” attraccata sul lungo Reno: “un luogo d’incontro per tutti – donne e uomini, vecchi e giovani – per discutere insieme di temi di particolare interesse per le donne”. E’ stato il mio approccio un po’ più approfondito, sebbene esperienziale, con il pensiero teologico femminista.
Basilea 1989 è stato il primo incontro continentale ad aver esaltato la libertà del popolo cristiano che è stato appunto popolo e non gregge, e ha anche posto le basi dei temi che ancor oggi dibattiamo – dalle questioni di genere al commercio delle armi, dalle energie rinnovabili a un nuovo paradigma economico, addirittura l’impatto sociale delle nuove tecnologie – forse con l’unica eccezione delle migrazioni di cui non ricordo la tematizzazione (né l’ho rintracciata nella Guida). La differenza è che allora questi temi venivano affrontati sull’onda della speranza di grandi cambiamenti –così, ricordo, si espresse Carl Friedrich von Weizsäcker nella plenaria finale – mentre oggi sull’Europa grava la cappa di una minacciosa tempesta creata da paure, reali e indotte, che il movimento ecumenico – stanco rispetto all’89 ma non privo di energie – ha il compito di dover dissipare.