Roma (NEV/Riforma.it), 22 luglio 2019 – Dopo cinque giorni intensi di riflessione, condivisione e comunione si è conclusa il 20 luglio la VI Conferenza battista mondiale per la pace a Cali, Colombia, dal titolo: “Pace sulla nostra terra: verso un mondo senza violenza”. Promosso dalla Baptist Peace Fellowship del Nord America e da Bautistas por la Paz, il raduno ha visto riunirsi – presso la Facoltà battista di Teologia Unibautista –, 380 persone provenienti da oltre trenta Paesi. La scelta della Colombia non è stata affatto casuale: mirava a mettere in risalto l’accordo di pace siglato tra Colombia e le FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) nel 2016, accordo in cui le chiese hanno giocato un ruolo significativo.
Emozionante è stata la tavola rotonda a cui hanno partecipato la senatrice Victoria Sandino (rappresentante del Partito delle FARC) accanto a Fabiola Perdomo, direttora dell’Unita per l’Atencion Integral a las Victimas, il cui marito è stato ucciso dalle FARC. E che dire delle domande incalzanti poste alla senatrice dai partecipanti del Venezuela (arrivati alla conferenza dopo trent’ore di autobus) dove sembra che frange della FARC si stiano attivando; o dei racconti di alcuni guerriglieri i quali, convertitisi a Cristo in circostanze drammatiche, hanno deposto le armi, o del ruolo delle chiese nel processo continuo di una riconciliazione che risulta ardua.
Quando si dice “chiese” non ci si riferisce solo alle chiese battiste, ma a un battismo in grado di convogliare tutta una serie di denominazioni operanti a favore della pace: mennoniti (con un programma mirato per gli uomini, vittime e allo stesso tempo autori di violenza), metodisti, la Chiesa di Cristo e molto altri, incluso qualche cattolico che sceglie di lavorare insieme ai battisti che sono a suo dire “più aperti” della propria Chiesa di origine. Qui l’ecumenismo passa decisamente attraverso la prassi.
A predominare in questi cinque giorni è stata una visione proveniente dal Sud del mondo. I molti interventi ci hanno permesso di esplorare le somiglianze tra i conflitti nello Zimbabwe e quelli nel Libano, nell’America Latina come anche nelle Filippine. A parte la predicazione del pastore Michael Ware di Chicago, condotta seconda la più pura tradizione africanoamericana, la presenza statunitense è stata piuttosto defilata per lasciare spazio alle voci e alle presenze del Sud.
Non c’è dubbio che le donne siano state le grandi protagoniste della Conferenza,con interventi qualificati e appassionati che spaziavano dal Myanmar al Nicaragua, dalla Georgia al Libano. C’è stata inoltre una notevole attenzione alla violenza di genere. La Colombia, infatti, occupa il quarto posto al mondo in quanto a femminicidi e superare la violenza contro le donne viene considerata parte integrante del lavoro per “la pace nella nostra terra”. Attenzione è stata data anche ai diritti della comunità Lgbtq, grazie anche (ma non esclusivamente) all’apporto degli Alliance of Baptists che proprio a 50 anni dalla rivolta di Stonewall hanno incoraggiato i propri membri a riconoscere e onorare le persone Lgbtq con lo slogan Baptist, Pride, Love.
A Cali, dunque, si è riunito un battismo (ma non solo) vitale, impegnato e consacrato. Ogni giorno è iniziato con un momento di meditazione e di riflessione, e si è concluso con un culto incentrato sull’annuncio della Parola. Due voci eccezionali insieme a musicisti internazionali e colombiani hanno guidato il canto adottato dall’assemblea: “Siamo un popolo, una stessa razza, una famiglia, siamo sogni che non si arrendono prima che sia arrivata la libertà. Libertà di vivere, libertà di desiderare, libertà di ridere, libertà di amare, libertà di perdonare”.
Una conferenza completamente bilingue è stata accolta con grande impegno dall’Unibautista di Cali la quale, insieme a volontari delle chiese locali, ha offerto un’ospitalità straordinaria con una gentilezza e pazienza estreme. L’unico neo l’assenza quasi totale dei battisti europei, come se la pace non dovesse interessare ai Paesi grandi produttori di armi come il Regno Unito e la Germania.
Viviamo però in speranza, protendendoci “verso un mondo senza violenza”. Tale speranza è stata simboleggiata dall’albero che insieme abbiamo piantato, e intorno al quale sono state deposte delle pietre che ognuno e ognuna aveva dipinto con i colori della bandiera del proprio paese, nella speranza che quando torneremo a Cali troveremo cresciuto non solo l’albero ma anche la pace in tutti i nostri paesi e nel mondo intero.
di Elizabeth Green