Roma (NEV), 2 agosto 2019 – Nell’immaginario collettivo i rifugiati sono un po’ tutti uguali. Gli stereotipi di genere, in un contesto di rappresentazione tendenzialmente monocorde delle persone che migrano, sono un elemento innegabile.
Le donne siriane non hanno una storia sola, per citare la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie che parlava dei “pericoli di una storia unica”.
Layla, ad esempio, è un po’ tutto quello che non ci si aspetta – che probabilmente un cittadino, lettore, hater medio non ha mai visto o pensato possa essere una giovane donna siriana.
Ha passato gli ultimi mesi a Roma a studiare, per guadagnarsi una borsa di studio alla prestigiosa università John Cabot, ateneo americano con sede nella Capitale. Nata e vissuta a Damasco, da padre iracheno e madre libanese, è arrivata in Italia nel marzo 2018 attraverso un corridoio umanitario promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e dalla Comunità di Sant’Egidio. Oggi vive e studia a Roma, ed è ospite di una famiglia, parte del progetto di accoglienza Refugees Welcome.
Ha trascorso in Libano cinque anni, insieme alla madre, al padre e al fratello quasi coetaneo, e ha sempre avuto le idee chiare. Ha lavorato in una Ong, nel distretto di Beqā Ovest, avvicinandosi così al mondo della cooperazione. Venuta a conoscenza del progetto dei corridoi umanitari, ha contattato personalmente via mail gli operatori di Mediterranean Hope, programma rifugiati e migranti della FCEI in Libano.
Così, dopo il consueto iter burocratico che permette ai beneficiari dei corridoi di partire in modo legale e sicuro, è riuscita ad arrivare a Fiumicino e a ottenere lo status di rifugiata. È partita da sola, lasciando i suoi cari in Libano. Una volta in Italia, ha passato alcuni mesi alla Casa delle Culture di Scicli, nel ragusano. Ma il suo obiettivo è sempre stato quello di riprendere gli studi che aveva dovuto interrompere in Libano, dopo aver frequentato un’università europea in Siria. E ora, a distanza di poco più di un anno, la borsa di studio per frequentare il primo anno del corso in business administration e comunicazione.
Per prepararsi all’ammissione e ottenere la borsa, ha sostenuto 6/7 esami, per lo più in lingua inglese, aiutata e supportata dai suoi nuovi amici e dalla famiglia che la accoglie e con la quale abita, a Roma.
“Da tempo – spiegano Guido, Giovanna e Laura, la famiglia che ha accolto Layla – avevamo scelto tutti insieme di ospitare nella nostra famiglia una persona rifugiata. Per molte ragioni: in primo luogo come rifiuto di sentirci complici di scelte politiche non condivisibili, ma anche perché siamo una grande famiglia, tanti figli, fratelli e amici: condivisione e la solidarietà sono per noi un fondamento. Vivere con Layla ha aiutato anche noi a crescere e a conoscere più da vicino situazioni di sofferenza e disumanità che spesso ci sembrano lontanissime, ma che invece riguardano tutti noi, nessuno escluso”.
“Da grande” Layla vorrebbe lavorare in un’agenzia internazionale come la Fao, e vorrebbe continuare a vivere a Roma. Ci racconta dei suoi amici siriani e italiani, del poco tempo libero che ha avuto fino ad ora passato a passeggiare ed andare in bici, di come continuerà, a Roma e ovunque la porteranno i suoi studi e il lavoro, a testimoniare la cultura siriana. E a rappresentare un bell’esempio femminile di autodeterminazione, aggiungiamo noi.