Roma (NEV), 30 ottobre 2019 – “L’Amazzonia è un’area molto grande in cui vivono una moltitudine di popoli indigeni differenti, ognuno con la sua cosmovisione, la sua cultura, le sue credenze. Credo che il Sinodo sia parte di un appello che il papa non fa solo alla chiesa cattolica: l’Amazzonia è necessaria all’umanità. E questo appello interroga tutti. Dobbiamo riflettere su questo invito ma è necessario farlo a partire dallo sguardo dei popoli indigeni perché nessuno conosce e comprende meglio l’Amazzonia che i popoli ancestrali che lì abitano da millenni”.
Così esordisce Pablo Fajardo, attivista e avvocato ecuadoriano che ha guidato lo storico processo contro la compagnia petrolifera Chevron/Texaco, protagonista di una delle storie più epiche e sconosciute del nostro tempo. C’è anche un fumetto, “Texaco: Et pourtant nous vaincrons” (Texaco: alla fine vinceremo), che racconta la sua vicenda, pubblicato dall’editore francese Les arènes, con il contributo di Amnesty international.
Fajardo è stato a Roma la scorsa settimana e ha partecipato a una delle attività collaterali del Sinodo per l’Amazzonia raccontando la storia sua e dell’UDAPT (Union de los Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Texaco), quella di un giovane avvocato che, insieme a 30.000 indigeni, ha fatto causa alla compagnia Chevron per il disastro ambientale causato dalle estrazioni petrolifere nel giacimento petrolifero di Lago Agrio (Ecuador) tra il 1964 e il 1990, una delle peggiori catastrofi ecologiche e umane, la Chernobyl dell’Amazzonia.
“Sembra che l’accesso alla giustizia sia impossibile quando le vittime sono i popoli indigeni e i contadini, specie contro un colosso come la Chevron” ha detto Fajardo a Roma. E ha proseguito raccontando i difficili negoziati che si stanno portando avanti a Ginevra presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per chiedere che venga implementato uno strumento giuridico vincolante al quale possano ricorrere le vittime di disastri naturali provocati dalle grandi corporazioni, dato che le corti internazionali sono accessibili solo agli Stati. “Esiste un vuoto legislativo che deve essere colmato per permettere ai popoli di portare in giudizio le multinazionali” ha detto.
L’iter che Fajardo ha affrontato è presto detto. La causa conto Chevron inizia nel 1993 nei tribunali statunitensi. Su richiesta della stessa società, il processo fu trasferito in Ecuador, nel tribunale locale della provincia di Sucumbíos. L’11 febbraio 2011, dopo quasi 2 decenni di contenzioso, la Corte si è pronunciata a favore dell’UDAPT e ha condannato Chevron-Texaco a pagare una multa di 9,5 miliardi di dollari di risarcimenti, con sentenza ratificata dalla Corte costituzionale ecuadoriana. Nel 2009, la multinazionale ha fatto ricorso al sistema Investors-State Dispute Arbitration (ISDS) e ha denunciato l’Ecuador davanti alla Corte permanente di arbitrato (CPA) dell’Aia per violazioni del Trattato bilaterale sugli investimenti (BIT), firmato tra l’Ecuador e gli Stati Uniti nel 1993. Dopo quasi 10 anni di processo, il 31 agosto 2018, un collegio arbitrale della CPA ha emesso una sentenza a favore della multinazionale, ordinando all’Ecuador di annullare la sentenza del tribunale di Sucumbíos a favore delle persone colpite. Inoltre, lo stato ecuadoriano deve pagare un risarcimento a Chevron per il danno economico e morale.
L’invito al Sinodo è scaturito da questo impegno e da una frequentazione sui territori, nei contesti e nelle criticità che l’area amazzonica e chi la abita affrontano quotidianamente: “UDAPT ha partecipato alle riunioni preparatorie del Sinodo che si sono svolte nei territori e che hanno raccolto le opinioni e la visione di chi vive in quell’area. Il nostro è una lavoro collettivo che spesso incontra quelle delle chiese, cattolica e protestante” ha detto.
“Per noi è di fondamentale importanza che di questi problemi si continui a parlare – ha continuato Fajardo –, il mondo deve conoscere quello che è successo in Ecuador e quali sono i pericoli e i danni che le popolazioni locali continuano a subire. Questo Sinodo può essere un’ottima occasione, ma è necessario riflettere a partire dallo sguardo dei popoli indigeni perché nessuno conosce e comprende meglio l’Amazzonia che i popoli ancestrali che lì abitano da millenni. L’Amazzonia ha un ruolo fondamentale nel nostro pianeta, i popoli indigeni che hanno ereditato e custodito queste terre hanno un ruolo fondamentale nel nostro pianeta, ma sono molteplici le minacce che arrivano dal mondo esterno: l’estrattivismo, la complicità dei governi con lo sfruttamento, l’invisibilizzazione dei popoli ancestrali e di quelli non contattati” ha denunciato.
Ha concluso ricordando i saperi dei popoli amazzonici: “Questi popoli hanno una grande conoscenza della vita, della natura, della terra. Le loro conoscenze partono da una base differente rispetto alla nostra, ma meritano rispetto. Quindi per me questo Sinodo è soprattutto l’occasione per rendere visibili questi popoli e le loro culture, per ribadire l’importanza della natura e del ruolo dei popoli ancestrali nel custodire questi luoghi”.
Fajardo ha partecipato a una delle attività collaterali del Sinodo per l’Amazzonia, che si è chiuso domenica scorsa riunendo vescovi, religiosi e rappresentanti di diversi organismi cattolici, ma anche esperti, uditori e delegati fraterni ecumenici.
Il documento finale, 120 paragrafi votati singolarmente dai padri sinodali e i cui risultati delle votazioni sono stati resi noti, si articola in quattro capitoli: nuovi percorsi di conversione pastorale, nuovi percorsi di conversione culturale, nuovi percorsi di conversione ecologica, nuovi percorsi di conversione sinodale.
I temi centrali sono l’evangelizzazione, il rapporto con le culture locali, il dialogo ecumenico, interreligioso e culturale, la crisi socio ambientale e l’ecologia integrale, i nuovi modelli di sviluppo sostenibile e di solidarietà, il ruolo della donna e nuovi ministeri.
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