6 novembre. Un “libro dei sogni” per salvare l’ambiente da guerra e conflitti

Contaminanti lasciati da armi e bombardamenti nelle terre, nei mari, nelle falde, nell’aria e nei corpi; relitti di guerra; devastazione; conflittualità armata per il controllo di risorse. Questi alcuni degli argomenti sollevati dalla Commissione globalizzazione e ambiente della FCEI in occasione del 6 novembre, Giornata ONU per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato

Immagine tratta da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Disabled_Iraqi_T-54A,_T-55,_Type_59_or_Type_69_tank_and_burning_Kuwaiti_oil_field.jpg

Roma (NEV), 31 ottobre 2019 – La Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) prende parola in occasione del 6 novembre, Giornata internazionale delle Nazioni Unite istituita nel 2001 per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato. È Teresa Isenburg, componente della GLAM, a stilare un documento in cui si spiega meglio il rapporto fra guerre e ambiente.

“Usare l’ambiente come arma complementare nel corso dei conflitti è pratica antica e costantemente impiegata: fare esondare i corsi d’acqua per bloccare l’avanzata degli eserciti è stato fatto dagli olandesi contro le truppe tedesche durante la seconda guerra o nella bassa padana orientale fra 1943-1945 fra gli eserciti dell’Asse e quelli degli Alleati senza distinzione di parte. Durante secoli, soprattutto in età moderna come nel corso della terribile Guerra dei Trent’anni, le orde militari dove passavano non lasciavano un albero in piedi perché servivano per scaldarsi o cuocere il rancio, in Vietnam foreste e foreste sono state eliminate con agenti chimici per stanare i guerriglieri che lì avevano le loro basi, Carlo V (e non solo lui) avvelenava i pozzi delle città assediate” scrive Isenburg.

Note sono anche le conseguenze ambientali dei conflitti, che siano o no armati, di bassa intensità, interni o internazionali: “bombe piene di elementi contaminanti come l’uranio impoverito giacciono sul fondo dell’Adriatico, lì scaricate nel corso della guerra della ex Jugoslavia, e rilasciano giorno dopo giorno, con lento metodo, veleni; infiniti mezzi di trasporto e armi si ergono come sculture di artisti psicotici nella vasta distesa in buona parte desertica che va dall’Afghanistan alla Libia in quel teatro di forme diverse (viene quasi da dire integrate) di belligeranze che durano da quasi vent’anni e in alcune parti da ben più numerosi decenni”.

Fra i contaminanti che inquinano terre, mari, falde acquifere, aria e i corpi degli essere umani, oltre ai relitti di guerra, ci sono “metalli pesanti, plastiche e idrocarburi, sostanze chimiche varie, e che vento pioggia sole sbalzi di temperatura sbriciolano piano piano e disperdono chissà dove avvelenando ambienti e esseri viventi che nulla hanno a che fare con le belligeranze – continua Teresa Isenbug –. Nessuno è responsabile per questi relitti abbandonati, forse non esiste neppure un quadro normativo al riguardo, potremmo dire che si tratta di un ulteriore capitolo dell’infinita catena dei rifiuti. Dopo la Prima Guerra mondiale per diversi anni, nella regione del fronte orientale, una fascia assai profonda dato il modo in cui erano andate le vicende belliche, si era creata una nuova professione: quella di raccoglitori di residuati bellici di tutti i tipi e in particolare metallici, abbandonati da questo o da quell’esercito che venivano poi venduti: insomma, i contadini dei luoghi e le truppe smobilitate e disoccupate erano diventati minatori di superficie”.

L’ONU parla poi di “prevenzione dello sfruttamento: vi è cioè l’idea della necessità di compiere un’azione positiva anticipata per evitare che lo sfruttamento dell’ambiente diventi esso stesso elemento propulsivo verso il ricorso al confronto armato e al predominio del più forte. E vengono alla mente le regioni interne dell’Africa equatoriale, la parte orientale della Repubblica popolare del Congo, stravolta della conflittualità armata per il controllo dei giacimenti minerari. Milizie, corpi di sorveglianza dei grandi gruppi minerari, truppe regolari e corpi di polizia si scontrano e minacciano le popolazioni civili in un turbinio di armi in una conflittualità al di fuori di ogni regola. Ci si può ben chiedere quanto il controllo delle acque del Nilo Azzurro che scende dall’acrocoro etiopico e delle vaste distese paludose del Sudd abbia motivato il lungo e brutale guerreggiare di quell’area, che la divisione fra i due Sudan non ha probabilmente sedato. È, quella, una zona economicamente preziosa, molto preziosa, per molti paesi: motivo sufficiente per guerreggiare in qualsiasi modo. Prevenire, dunque, dice giustamente l’Onu, per mantenere la pace e la sicurezza internazionale: per prevenire bisogna avere regole chiare e condivise sull’accesso alle risorse naturali, garantire vita degna e adeguata alle popolazioni, ridurre l’infinita quantità di armi che corrono lungo vie dalla logistica capillare e molto efficace, consentire che le popolazioni vivano nei loro ambienti naturali avendo la possibilità di accedere alla terra, all’acqua, alle risorse presenti in modo  giusto, condiviso, responsabile. Il libro dei sogni? Sì, sogni da tradurre insieme, con pazienza in azioni costanti e in realtà possibili, molto possibili nel mondo con tanta ricchezza e tante conoscenze in cui oggi viviamo”.


Per il 6 novembre, Antonella Visintin (coordinatrice GLAM) ha proposto un suo personale spunto biblico a partire dalla storia di Lamec e dal problema della sussistenza del male nel mondo (Genesi 4, 18-24): “Le guerre contribuiscono in modo determinante a rendere inabitabili intere porzioni del pianeta esprimendo, come Lamec, una dismisura tra causa ed effetto, una misura data dalla potenza del più forte che travolge millenni di convenzioni e patti compresi quelli vigenti”. Lamec, spiega Visintin, è un inserto  ‘primordiale’ che racconta la storia degli effetti del possesso e della ebbrezza data delirio di dominio che la tecnologia sempre più efficace produce. Lamec è discendente di Caino, fondatore di città e primo omicida, e viene tratteggiato nella propria autoreferenzialità di signore sulla vita di altri. La Bibbia qui e in altri passi espone la brutalità umana che per noi è una chiamata continua alla conversione. Scarica qui il PDF dello spunto biblico: 2019 6 novembre Lamec