Roma (NEV), 18 dicembre 2019 – Dalla parte dei diritti delle persone migranti, non solo il 18 dicembre ma tutti i giorni. Abbiamo chiesto a Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope (MH), programma migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, di raccontare, nella Giornata mondiale per i diritti dei migranti istituita dall’ONU, com’è stato questo anno e cosa si aspetta per il futuro del progetto di cui è responsabile.
I flussi migratori sono ancora uno dei temi “in cima” all’agenda politica italiana e comunitaria. Ci sono stati dei passi avanti nel 2019? O al contrario, la situazione è peggiorata?
Abbiamo la percezione che dopo i rigori invernali si sentano i primi tepori primaverili. L’anno precedente era stato caratterizzato da parole e politiche di chiusura e di forza nei confronti del tema delle migrazioni, ritenendo che bastasse evocare l’idea della ‘fortezza Europa’ per ottenere consensi e gestire il fenomeno. Dati alla mano si è visto che così non è e che la complessità dei flussi migratori e dell’instabilità geopolitica di gran parte dei paesi che li generano hanno comunque determinato degli arrivi in larga parte non gestiti, e quindi alla fine “disordinati”. Negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento quanto meno dei toni del dibattito pubblico su questo tema e alla logica della fortezza sembra essersi sostituita quella di un ragionamento europeo su questo tema. D’altra parte restano pesanti gli effetti molto gravi dei decreti sicurezza che, seguendo lo schema appena delineato, hanno avuto il solo effetto di generare immigrazione irregolare e interrompere virtuosi percorsi di integrazione nella società italiana.
1805 persone arrivate in sicurezza e legalità, 24 viaggi dal Libano. E ora la proposta di corridoi umanitari europei, dalla Libia e dai paesi limitrofi. Qual è il bilancio di questo progetto e come la FCEI spera possa evolversi?
É troppo presto per dirlo. Possiamo però registrare il vivo interesse dei vertici del Parlamento europeo, del governo italiano, delle Nazioni unite e della Commissione europea. Che i quattro principali attori dello scenario globale del’immigrazione accettino un confronto per verificare la possibilità, testando la buona pratica dei corridoi umanitari, è per noi un risultato estremamente incoraggiante. Abbiamo fiducia che anche in Italia possano aggiungersi nuovi partner nella realizzazione di corridoi umanitari, soprattutto nel settore dell’accoglienza. Il grande nodo resta però quello dei meccanismi comunitari che, alla fine, delegano i poteri di bilancio e di politiche generali su questo tema ai singoli stati membri ed è da vedere se si potrà costruire quel nucleo promotore di governi “volenterosi”, pronti a muoversi in questa direzione. La FCEI è impegnata in prima persona insieme alle chiese protestanti europee. D’altra parte i numeri di arrivi in legalità e sicurezza grazie ai corridoi umanitari già realizzati in Italia e in altri paesi europei hanno ormai una loro consistenza e non si può più parlare di una semplice goccia nell’oceano. Sono un’onda. E bisognerà vedere se la società civile e i governi sapranno utilizzarla lasceranno che si infranga sugli scogli.
Ieri l’associazione Carta di Roma ha presentato un rapporto annuale sulla rappresentazione mediatica del fenomeno migratorio. Solo un giorno, nel 2019, non si è parlato di migranti nei tg. Ma il trend conferma la politicizzazione delle notizie relative ai migranti e al contrario come siano sempre meno le “voci” dei migranti e il racconto dell’accoglienza, le buone pratiche. Dall’osservatorio di Mediterranean Hope, come è andato il rapporto coi media?
Molto problematico. É chiaro che nella logica mediatica l’albero che brucia fa più notizia di una foresta che cresce, tuttavia credo sia oggettivamente grave che pochissimi media abbiano trovato il tempo e le ragioni per raccontare le centinaia di esperienze di accoglienza, di parrocchie, comunità, gruppi o semplici famiglie che hanno reso possibile questa grande avventura umana che definiamo corridoi umanitari. Perché al fondo di tutto, dai primi colloqui coi beneficiari in Libano fino al loro arrivo in italia, ciò che per noi evangelici conta è stato l’incontro con le persone, le loro vite spezzate, la loro speranza di ricostruirla. Non raccontare tutto questo significa nascondere a noi stessi storie di umanità che ci farebbero tanto bene per sperare di più e forse anche essere migliori.
Il momento migliore e quello peggiore per MH, quest’anno? Quali sono state una storia o un episodio che vi ha colpiti, nel bene e nel male?
Nel bene l’ultima immagine che mi viene in mente sono le luci che si accendono a Rosarno e non è una metafora. Rosarno è un grande ghetto, il luogo dove finiscono migliaia di immigrati in condizioni di illegalità e sfruttamento para schiavistico. Tra i tanti drammi che devono affrontare, quello di essere invisibili, non solo perché nessuno racconta le loro storie, invisibili anche perché i loro ghetti sono al buio, le loro biciclette senza fari.
L’ultima iniziativa che abbiamo realizzato con successo è stata quella di illuminare il ghetto con dei fari alimentati a energia solare, un piccolo segnale non soltanto pratico ma anche simbolico.
Ma ripensando all’anno alle nostre spalle, c’è anche il senso di sfiducia che si incontra quando si ascoltano argomentazioni razziste e antisemite che entrano a far parte del linguaggio quotidiano, persino della politica. Non immaginavamo che nell’onda xenofoba che attraversa l’Europa potesse ritrovarsi ancora traccia di quel veleno che l’Europa ha distrutto e che è stato l’antisemitismo.
Ed è questo forse il tratto peggiore del 2019, che, nell’anno che sta per iniziare, vorremmo definitivamente cancellato.
Lampedusa, Scicli, Beirut e ora Rosarno. Dove sta andando MH?
Dove ci porta la coscienza cristiana. Mediterranean Hope è in primo luogo un progetto delle chiese evangeliche e risponde a criteri che non sono primariamente politici ma etici. Per una ragione etica ci siamo impegnati nei corridoi, così come è per ragioni etiche che abbiamo scelto di sostenere le ONG che svolgono attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Ed è per ragioni etiche che oggi siamo presenti a Rosarno, è per ragioni etiche che abbiamo pensato a programmi di integrazione e accoglienza interculturali che si sono espressi al meglio nella Casa delle culture di Scicli (Ragusa) e infine è sempre per ragioni etiche che oggi siamo presenti tra i braccianti più dimenticati della Piana di Gioia Tauro, uomini e donne che vivono in una situazione di abbandono, anche da parte delle istituzioni. Siamo in questi luoghi non perché siano alla moda o popolari o perché garantiscano visibilità esterna ma perché sentiamo che è in questi luoghi che ci porta la nostra coscienza e la nostra vigilanza di cristiani.
[BB]