Roma (NEV), 25 dicembre 2019 – Pubblichiamo il testo della predicazione del pastore Raffaele Volpe andata in onda questa mattina, mercoledì 25 dicembre, durante il programma di Radiouno RAI “Culto evangelico“. Natale è la nascita di Gesù, Figlio di Dio, ma anche figlio di Giuseppe il falegname, un lavoratore e un operaio. Ed è proprio agli operai, e in particolare a quelli dell’ex Ilva, che il pastore Volpe dedica questo Natale 2019, attingendo sia ai brani biblici sia alla sua esperienza personale.
Caro ascoltatore e cara ascoltatrice, buon Natale! Noi siamo custodi e testimoni di un miracolo: la grotta di Betlemme è il luogo in cui Dio ha deciso di convocarci. Dobbiamo lasciare le nostre case, le nostre dimore riscaldate, i nostri luoghi sicuri e incamminarci verso il grande miracolo nella storia umana: nella grotta di Betlemme Dio stesso si è fatto umano.
Preghiamo: Signore tu hai deciso di incontrarci nella carne e nel sangue di quel bambino di nome Gesù. Lì ci hai voluto dire che le nostre miserie, le nostre angosce, le nostre tentazioni, il nostro peccato, la nostra intera umanità non è abbandonata a sé stessa, ma è diventata tua. Tu hai assunto le nostre debolezze affinché noi potessimo ritrovare in questo gesto d’amore la forza di essere più umani. Amen.
Ora ascoltiamo la lettura del testo biblico per la meditazione di oggi: “Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?“, (Matteo 13:55)
Il Natale è la festa dei figli e delle figlie. Festa di famiglie, anche diverse. Festa di genitori che sognano di costruire il futuro donando la vita. Il passo del vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci ricorda che anche Gesù era un figlio. Noi pensiamo subito a Gesù come il Figlio di Dio e ci dimentichiamo di Gesù, figlio del falegname, figlio di Maria, fratello di Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda. Figlio di una famiglia operaia. Quella che vive pensando al futuro dei propri figli. Che fa la spesa al supermercato cercando di risparmiare. In una famiglia operaia si combatte dalla mattina alla sera, ma i figli e le figlie non devono saperlo; si combatte per andare avanti, pezzo dopo pezzo, passo dopo passo.
Mio padre era un operaio semplice dell’Olivetti. Aveva perso quattro dita di una mano nei cantieri per costruire la stazione centrale di Napoli. Era stata la sua fortuna, così diceva, perché gli permise di avere un po’ di invalidità e di trovare un posto all’Olivetti. Sono cresciuto in una famiglia operaia, imparando il rispetto per gli altri e a vivere con ciò che è essenziale, niente di più, ma mai niente di meno. E non mi sono mai vergognato di non avere abbastanza soldi in tasca la domenica con gli amici. In questo giorno di Natale, da figlio di un operaio, vorrei dedicare questo culto agli operai dell’ex Ilva di Taranto.
Ricordo la sensazione di calore quando il mio pastore, Umberto Delle Donne, operaio all’Italsider di Bagnoli, mi portò davanti al IV altoforno. Era tutto uno scintillare di fiamme, una luce intensa, interamente concentrata in quella bocca di forno e tutt’attorno il buio. Non era l’inferno, ma soltanto grazie a quegli operai che nutrivano il forno, lo rimestavano come una pentola. Diceva bene Pier Paolo Pasolini: “Ciò che resta originario nell’operaio è ciò che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere”. Una fabbrica non è un inferno grazie ai corpi degli operai e delle operaie. Anche se troppo spesso anche quei corpi non colonizzati dal potere soccombono alla logica del potere.
Anche Giuseppe, il papà di Gesù, era un operaio. E Gesù era soprannominato: figlio del falegname. Poi sparì questo soprannome e chiamarono Gesù “il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone”, (Marco 6:3). Il papà, Giuseppe, era improvvisamente sparito. I Vangeli non ci dicono dove sia finito Giuseppe, ma conoscendo la vita di un operaio non è fuori luogo immaginarlo schiacciato sotto il peso di una lunga trave di legno, quella stessa trave di legno dove poi suo figlio, e anche Figlio di Dio, salirà schiacciando sotto il peso del suo corpo l’ingordigia del mondo.
Molti si sono chiesti: cos’ha fatto Gesù nei suoi trent’anni prima dell’inizio del suo peregrinare dalla Galilea fino a Gerusalemme annunciando ai senza tetto della speranza che Dio era lì vicino a loro? Molti hanno sollevato questa domanda. E ancora una volta quale risposta più semplice e più naturale se non quella di pensare che dopo la morte di Giuseppe, Gesù abbia lavorato come falegname nella stessa falegnameria. Gesù, operaio, figlio d’operaio.
A chi dunque dedicare questo Natale se non a voi, operai ed operaie dell’ex Ilva di Taranto? Voi che di Giuseppe e di Gesù ne sapete senz’altro più di me. Vorrei dedicarlo a voi, a voi che lavorate di giorno e di notte, spesso insieme, lasciando i vostri figli dai nonni. A voi esperti di bilanci mensili. A voi che sotto voce pronunciate una preghiera: Signore fa che torni a casa anche oggi. A voi che, invece, ad alta voce reclamate nello stesso tempo il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Anche se diabolici meccanismi hanno reso innaturale questo reclamo.
A voi dedico questo Natale portandovi una buona notizia: Gesù, il falegname, figlio di falegname, era anche Figlio di Dio. Quel Dio dei profeti che chiamava in giudizio i governanti; che denunciava coloro che si costruiscono le loro case calpestando il povero; quel Dio che sul monte Sion ha posto a fondamento di ogni libertà il rispetto della legge; quel Dio che non si è fermato al giudizio, ma si è fatto egli stesso operaio in Gesù fino alla morte e alla morte in croce. Questo Dio sta dalla vostra parte! Il Natale sta dalla vostra parte! Il Figlio di Dio sta con voi! Buon Natale quindi.
Poi dopo le feste bisognerà rimettere mano ad un semplice progetto: rendere di nuovo umano il lavoro di un operaio. “Lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale”, così si esprimeva Adriano Olivetti. Da qui, dopo le feste, bisognerà ripartire. Intanto però auguri e Dio vi benedica e vi protegga. Amen
Preghiamo: Signore in questo giorno straordinario, in questo giorno di Natale, voglio pregarti per le operaie e gli operai dell’ex Ilva. Voglio pregarti per tutti gli operai. Proteggili, Signore, proteggi le loro famiglie e le loro vite. Amen!