Roma (NEV), 30 dicembre 2019 – L’Agenzia NEV propone un ciclo di interviste alle più alte cariche delle chiese protestanti italiane. In collaborazione con la Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), oggi pubblichiamo l’intervista al decano Heiner Bludau curata da Nicole Dominique Steiner. Bludau è da cinque anni decano della CELI che, con poche migliaia di membri, è una delle più piccole chiese protestanti d’Italia.
Nel suo messaggio natalizio ha parlato dell’importanza – non solo in questo periodo particolare dell’anno – di fermarsi a riflettere sulle cose che sono state e nel contempo di guardare avanti. Cosa vede quando guarda indietro?
Legherei la mia retrospettiva ad alcune parole: migranti, sostenibilità e populismo. Per quanto riguarda la questione dei rifugiati, si tratta di un fenomeno che ci accompagnerà ancora a lungo. La questione è come aiutarli senza sostenere i trafficanti di esseri umani. Una cosa è certa: non possiamo restare a guardare la gente che annega nel Mediterraneo! Sulla sostenibilità: mi sembra che il mondo si stia un po’ svegliando. Vale anche per noi, cioè la CELI. Nel nostro ultimo Sinodo, abbiamo preso un chiaro impegno per la sostenibilità dando massima priorità nel nostro agire alla responsabilità per il clima e l’ambiente. Ma la situazione è critica, e posso solo sperare che chi ancora oggi si rifiuta di vedere la gravità della situazione si svegli prima che sia troppo tardi. E questo vale soprattutto per tutte le persone in funzioni di responsabilità nella politica e nell’economia, come anche per ognuno di noi. Per quanto riguarda il populismo, avviene un po’ quello che accade per il clima: una forte spinta dal basso ma, a mio parere, in questo caso, in direzione completamente sbagliata. Un fenomeno molto preoccupante a livello mondiale! Ma qui in Italia c’è anche un barlume di speranza: il movimento delle sardine.
E se guarda avanti? Cosa possiamo aspettarci dal 2020?
Parlando in generale, per me la grande sfida consiste nell’affrontare attivamente le problematiche urgenti della nostra epoca senza mettere la testa sotto la sabbia, e farlo insieme, indipendentemente dalla convinzione politica o dal credo. Per quanto riguarda la CELI ci aspetta un 2020 avvincente. Il Sinodo eleggerà il nuovo presidio sinodale e i membri laici del concistoro e in estate, dal 1° all’8 luglio, abbiamo organizzato un viaggio in Austria al quale sono cordialmente invitati i membri di tutte le chiese protestanti in Italia. Tra l’altro visiteremo Vienna, incontreremo il vescovo Michael Chalupka e il segretario generale della Comunione di chiese protestanti in Europa (CCPE) Mario Fischer, e parteciperemo alle Giornate d’incontro cristiane di Graz, dal 3 al 5 luglio.
In Germania l’EKD (che include chiese luterane, unite e riformate, ndr) conta circa 21 milioni di membri, i cattolici 23 milioni, numeri destinati a calare. In Italia, i luterani sono una delle più piccole comunità protestanti. Lei ha lavorato come pastore sia nella realtà della grande chiesa popolare che nella diaspora. È una differenza che si ripercuote sul lavoro pastorale? In che modo?
Sì, certo, ma non solo in senso negativo. Naturalmente qui la nostra voce, sia in pubblico, sia tra le altre comunità, conta meno che in Germania. Ma come chiesa di piccole dimensioni, siamo in grado di reagire più rapidamente alle sfide, includendo in modo democratico quasi tutti i membri della nostra chiesa. Il nostro vero compito come Chiesa, tuttavia, rimane quello di diffondere il Vangelo e di tentare di vivere secondo i suoi precetti. In questo senso la dimensione non conta molto. Una grande differenza rispetto alla Germania la vedo invece nella partecipazione dei membri alla vita della chiesa. Chi è iscritto qui in Italia vive la chiesa, la comunità, i culti con molta più partecipazione, e questo perché non vive la propria esperienza di fede come un fatto “scontato”, come accade invece in contesti molto più omogenei e strutturati. Per quanto riguarda la forte presenza della Chiesa cattolica in Italia: quando sono arrivato a Torino, pensavo che fossimo solo una piccola, insignificante e isolata minoranza. E questo non è vero. Al contrario, non solo esiste una buona collaborazione con tutte le altre chiese evangeliche, ma siamo anche seguiti con grande interesse dal mondo cattolico. Siamo tutt’altro che isolati!
Perdita di membri: come può la Chiesa raggiungere la gente oggi, o cosa dovrebbe evitare?
Giro la domanda: In primo luogo, ciò che la Chiesa non deve fare. Non deve confondere i propri interessi come istituzione con le promesse e i compiti del Vangelo. Il compito effettivo corrispondente all’annuncio del Vangelo. È vitale e difficile al tempo stesso: le promesse del Vangelo e la relativa messa in discussione del nostro comportamento abituale sono da un lato al di sopra della vita quotidiana ma, dall’altro, possono essere comunicate solo in relazione alla vita quotidiana. Trovare la strada giusta è una sfida nuova ogni giorno e può avere successo solo se, essendo sempre ispirati dalla Parola di Dio, non chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà in cui viviamo.
È giusto che la Chiesa intervenga e prenda posizione su questioni politiche e sociali?
Nella misura in cui le condizioni politiche e sociali fanno parte della realtà in cui viviamo, noi cristiani dobbiamo naturalmente occuparcene, e in certe situazioni la Chiesa deve alzare la voce e prendere posizione. Per me personalmente, il limite di questo intervento è costituito dalla consapevolezza di non dover andare “oltre”. Mi spiego: la chiesa non deve cadere nel tranello di pretendere di essere il garante del giusto cammino. Altrimenti la chiesa stessa diventerebbe partito, e questo non è ammissibile. La Chiesa deve difendere i valori e deve difendere i diritti umani. Ma nello stesso momento deve dare spazio a persone di diversa inclinazione politica perché tutte possano vivere insieme nella chiesa e come chiesa.
Intervista a cura di Nicole Dominique Steiner
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