Mafie. Maria Grazia Mazzola: Non può esserci ‘sonno’ se sei responsabile

Domani, 16 gennaio 2020, si terrà a Bari l'udienza preliminare a seguito dell’aggressione subita dalla giornalista protestante Maria Grazia Mazzola mentre svolgeva il suo lavoro, nel febbraio 2018. Una riflessione su corruzione, informazione, etica giornalistica e responsabilità. Previsto un sit-in di solidarietà promosso, fra gli altri, dai battisti italiani

Foto tratta dal sito dell'Ordine dei giornalisti www.odg.it

Roma (NEV), 15 gennaio 2020 – L’Agenzia NEV ha raggiunto Maria Grazia Mazzola, giornalista d’inchiesta del TG1.

Lei ha subito un’aggressione mentre svolgeva il suo lavoro nel febbraio 2018. Domani, 16 gennaio 2020, ci sarà a Bari l’udienza preliminare. Come commenta i recenti sviluppi della vicenda?

Il 16 gennaio è disposto il rinvio a giudizio di Monica Laera, appartenente al clan Strisciuglio che il 9 febbraio 2018 mi ha aggredito con un pugno sul suolo pubblico mentre ponevo interviste in via Petrelli nel quartiere Libertà, ritenuto il quartier generale del clan. Laera, già condannata per associazione mafiosa, deve rispondere di aggressione fisica con aggravante mafiosa, esercizio del controllo del territorio, lesioni e minacce di morte. Avevo con me due microcamere che hanno registrato tutto, in modo inequivocabile. Il giudice pochi giorni fa ha archiviato le denunce contro di me da parte di Laera, che ha fornito una dinamica dei fatti falsa. Il giudice ha scritto che ho agito correttamente esercitando il diritto di cronaca nell’interesse pubblico. Eppure c’è stata una parte di giornalisti a Bari che ha veicolato la versione di Laera tentando di fuorviare l’opinione pubblica e seminando sospetti come se io mi fossi cercata l’aggressione fisica, un pugno all’altezza dell’orecchio sull’emivolto sinistro. Solo chi è in malafede e nutre una mentalità mafiosa può generare questo pensiero.

Manipolazione dell’informazione e libertà di informazione. In quanto protestante, cosa pensa della responsabilità personale e della responsabilità collettiva nella società?

Il giornalista che indaga i fatti, e ha il dovere di accertarli, è un testimone della realtà che ‘vede’, che investiga, che ‘tocca’, non è una velina. E non deve essere un megafono di ‘poteri’. Oggi i cittadini hanno pochi strumenti di garanzia rispetto a chi gestisce la ‘cosa pubblica’. Uno di questi elementi di garanzia è il giornalismo libero, il vaglio della democrazia. Se non c’è chi indaga l’operato dei potenti, delle mafie, della corruzione, degli appalti pubblici, e di tanto altro, cosa rimane della nostra democrazia? La nostra democrazia è malata, le mafie sono forti, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha scoperto un sistema sovversivo, la massomafia, definito ‘l’autostrada’. Un sistema illegale per ottenere raccomandazioni, assunzioni e servizi, anche in ospedali, caserme, uffici. Dunque la responsabilità è centrale, è un motore che avvia in direzione di ‘servizio’ l’impegno, il lavoro, la missione, la vocazione.

Questa vocazione alla responsabilità, secondo lei, può travalicare i confini?

Sono cristiana protestante ma credo nell’ecumenismo: bisogna fare lo sforzo di tentare di vedere sempre anche con gli occhi degli altri. La responsabilità mi ha obbligato a occuparmi dei colleghi assassinati a Malta e in Slovacchia. Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak con Martina Kusnirova sono entrati nella mia indagine per Speciale TG1 ‘Euromafie’, andato in onda il 15 dicembre su RaiUno in un orario impossibile per il pubblico. Ho indagato le mafie in Europa, passando per l’Olanda. Un’ora e sette minuti di inchiesta inedita. La responsabilità non mi ha fatto ‘dormire’, sono andata avanti a testa bassa tra mille difficoltà. Troppa corruzione nei governi in Europa dove i clan hanno la vita facile: nessuno dei Paesi Membri dell’Unione europea ha una legislazione antimafia, solo l’Italia, che in tal senso è il Paese sentinella e apripista. Non può esserci il ‘sonno’ se sei responsabile.

Lei si è sempre battuta contro le mafie e per un giornalismo libero. Il suo attivismo per la verità sul caso Galizia ne è un esempio. A che punto siamo in Italia e in Europa nella ricerca della verità?

Un viaggio tra le nebbie, direi. Oggi più che mai la verità e la sua ricerca sono sovversive. Don Luigi Ciotti dice che la missione contro le mafie è la missione per eccellenza del Vangelo: se ci riflettiamo è una missione che ne comprende tantissime, quasi tutte. Tanti non amano ‘perdere tempo a leggere e a studiare’ e si tuffano dentro questa nebbia con slogan razzisti, fascisti, nazisti, mafiosi. La superficie, ciò che appare, è sempre nemica del vero. È una guerra. Perché se cerchi di andare a fondo trovi subito gli ostacoli, passi per guastafeste. Il giornalismo, se non scrive i nomi e i cognomi dei reati di mafia e di corruzione, è solo nebbia, schiuma. Se scrivi ‘la mala’ anziché ‘la mafia’, stai sollevando polveroni, ma non fai informazione. Se non vuoi ‘disturbare’ i potenti e vai oltre, senza inciampare negli interessi sporchi di primo piano, stai tacendo e ti stai rendendo complice. Tradisci. La verità ci rende liberi, dice Gesù: in questa affermazione c’è il sale dell’esistenza. Per me appartenenza religiosa ed etica giornalistica sono tutt’uno. Mi ripugna ogni doppia morale. L’Italia è rovinata dai dottor Jekill e mister Hyde.

Il protestantesimo in Italia rappresenta una minoranza. Quale può essere secondo lei il valore aggiunto delle minoranze, dal punto di vista culturale?

Il pungolo. Guardare con altri occhi, con una storia ‘altra’ la stessa realtà è la ricchezza di una società in cammino. Il protestantesimo nei Paesi in cui è maggioranza si è storicizzato. In Italia è ‘ospite’ minoritario, ma pungolo, capace come Davide di maneggiare una fionda che atterra il gigante a volte. Sui migranti, nel momento storico e politico più aspro, le Chiese Protestanti sono state profetiche.


Alla vigilia dell’udienza preliminare, molti messaggi di solidarietà sono giunti alla giornalista Mazzola. L’Unione cristiana evangelica battista in Italia (UCEBI) con il suo Dipartimento di Evangelizzazione, hanno invitato i fratelli e le sorelle dell’Associazione delle chiese evangeliche battiste di Puglia e Basilicata a “unirsi alla comunità civile, contro la violenza e le intimidazioni della mafia nei confronti dei giornalisti, per un’informazione libera e indipendente”. Il 16 gennaio alle 9 è previsto un sit-in, con la Costituzione in mano, davanti al Tribunale di Bari in via Saverio Dioguardi 1, per sostenere la giornalista.

“Un giornalista si espone pubblicamente a rischi e pericoli nell’interesse pubblico e per fare domande al servizio del cittadino. La società civile deve capire che i giornalisti si proteggono! Un’aggressione mafiosa non può diventare un problema personale – si legge nella lettera dell’UCEBI -. Mettiamoci in marcia, agiamo e preghiamo, affinché i cittadini di buona volontà non siano lasciati a se stessi, ma facciano rete e ricevano il giusto sostegno dai rappresentanti delle istituzioni presenti sul territorio. Perché l’Italia vera non è quella dei corrotti, ma degli onesti”.

Questo l’appello dei battisti italiani. I battisti di tutto il mondo celebrano proprio oggi la nascita del loro ispiratore, il pastore battista Martin Luther King, Nobel per la pace, attivista per i diritti civili, che oggi avrebbe compiuto 91 anni. Il 4 aprile 1968 a Memphis (Tennessee), Martin Luther King, affacciatosi sulla terrazza dell’hotel in cui si trovava insieme ad altri leader, venne ucciso da un colpo di fucile.

Il sit-in è organizzato dal coordinamento delle Sardine pugliesi – gruppi di Bari, Brindisi, Lecce, Foggia, Taranto e BAT – a cui hanno aderito Libera, l’Unione Donne Italiane, l’Ordine dei Giornalisti, l’Associazione Stampa Romana, i Centri anti violenza Giraffa e Renata Fonte di Bari e Lecce, i Salesiani di Bari, l’Amministrazione comunale del capoluogo pugliese e il sindaco di Bari, la CGIL, le Associazioni del CNCA, gli animalisti di Tavian e altri.

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