Roma (NEV), 12 febbraio 2020 – La densa sessione mattutina del convegno internazionale di studi sul metodismo dal titolo “Il limes cattolico. Ambizioni e strategie del metodismo per l’Italia unita” è stata presieduta dal professor Alessandro Saggioro.
La prima relazione, su “Il sito storico-politico dell’Italia di fine Ottocento – inizio Novecento” è stata curata da Augusto D’Angelo, che a partire da documenti storici e storiografici ha descritto i frastagliati rapporti fra cattolici e metodisti, in continua trasformazione, a livello nazionale e locale. Nel sottolineare il grande contributo metodista nella società, nell’educazione, attraverso le scuole, ma anche nelle chiese e nei rapporti con il tessuto culturale e religioso del tempo, D’Angelo ha messo in luce il ruolo delle donne, “Capaci di mettersi al servizio della comunità, nell’insegnamento, come maestre, e come ostetriche”. I parroci e le suore, dove è forte la presenza metodista, secondo D’Angelo, si ritrovano stimolati a far meglio, grazie a giovani brillanti che il metodismo metteva in luce. Il professore ha citato l’importanza della partecipazione dei metodisti alla resistenza, al ruolo dell’industrializzazione e della fondazione della fabbrica a Palombaro (Chieti) “La rinascita, grazie alla quale parte della popolazione rimarrà sul territorio”, e al cambio passo fra cattolici e metodisti: dal 1960, quando l’arcivescovo Bosio mandava missive al parroco per porre il problema di come arginare le comunità protestanti laddove esistevano, al 1970 quando in visita pastorale il cardinale Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, in un questionario chiedeva se venisse coltivato lo spirito ecumenico e se si celebrava la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (SPUC). Le parole d’ordine non sono più “prevenire, contenere e riconquistare” ma “pregare insieme” e il tessuto e la mentalità cambiano. D’Angelo ha infine sollecitato al dibattito a partire da tre questioni: le adesioni al metodismo, che potrebbero essere motivate dallo scontento verso il clero cattolico; l’ipotesi di un legame tra adesioni e facilitazioni per la migrazione negli Stati Uniti, che finanziavano il pastorato; il valore della consapevolezza del fatto che la presenza metodista ha reso più efficace l’azione degli altri.
Su “La questione religiosa in Italia tra il 1900 e il 1915” è intervenuto Alberto Melloni della Fondazione per le scienze religiose (FSCIRE), ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia nonché promotore della European Academy of Religion. Melloni ha tracciato le linee del paesaggio religioso prebellico, citando lettere pastorali e manuali per i preti e narrando le tappe dell’Italia leonina di Bonomelli, “da un cattolicesimo non più rurale e di devozione, a un cattolicesimo italiano di fermenti, che guarda la realtà sociale con occhi diversi dagli occhi ottocenteschi”, dove il papato stesso non sarà più come prima. Melloni ha parlato poi dei capisaldi e dei pregiudizi intellettuali e ideologici che hanno caratterizzato parte del pensiero dell’epoca, della lotta contro la modernità e il modernismo, della paura verso l’ebraismo e l’odio per i protestanti, senza dimenticare che si è trattato di una lotta durata da secoli ma, in questa fase, “caratterizzata da Vescovi pensanti, da un episcopato che conserva un suo protagonismo, una permanenza nella memoria degli stati preunitari, in quanto eredi dei figli cadetti delle famiglie delle città, anche anti papiste”. Il professore ha accennato le caratteristiche di un’Italia intrisa del mito della cristianità, che aveva l’ambizione di un colonialismo spirituale e di civiltà, ambizione messa invece in discussione dai protestanti. Infine, un breve riferimento al totalitarismo e alle politiche di repressione del Ventennio, che fecero sì che “la devozione diventasse un sigillo e il sospetto investisse tutti”, attraverso quella che si potrebbe definire una delazione di massa, nella quale la “decerebrazione del clero, e in generale della società, ebbe un ruolo nell’ascesa del fascismo; perché sapere qualcosa è un rischio”.
Tim R. Woolley, dell’Heritage Committee della Chiesa metodista di Gran Bretagna, ha parlato invece delle “Strategie del metodismo inglese per l’Italia, 1860-1915”. Un excursus ampio e dettagliato da William Arthur (1819-1901) e da Henry James Piggott (1831-1917), pastore metodista inglese, iniziatore della Missione metodista Wesleyana in Italia, in poi, sulle missioni e le denominazioni metodiste, a partire dal Commentario religioso e dai documenti in cui sono trascritte le conversazioni con italiani comuni, scontenti del papato. Dall’invito a istituire una missione in Italia con l’idea che il metodismo wesleyano potesse essere un fattore unificante per l’Italia e per le altre forme di cristianesimo che andavano sviluppandosi, ai sentimenti più propriamente antipapisti, fino al lavoro di formazione e coinvolgimento di ex sacerdoti e seminaristi, con le conseguenti persecuzioni e ostacoli posti da parte di cattolici che volevano difendere la loro fede e il loro territorio. Woolley ha citato episodi di antagonismo, ha letto documenti che fanno riferimento a “calunnie, minacce e all’’invasione protestante’ per cui si fece appello a clerici e laici contro gli intrusori scismatici” per espellere gli “eretici”. Nel descrivere il metodismo e la Strategia della missione, Woolley ha sottolineato il ruolo della Società biblica britannica e forestiera che già dal 1808 con i colportori aveva diffuso la bibbia tradotta, provocando un certo disagio papale. Il sentore era che fosse un tentativo di “divulgare bibbie multilaterali e corrotte, mentre i colportori portavano in giro bibbie e altra letteratura protestante cercando di sfruttare il discontento nelle parrocchie locali”. Grande fu il contributo dei metodisti nel diffondere pubblicazioni, nel conservare libri, nelle opere di istruzione scolastica, di fondazione di chiese e congregazioni, nonostante fossero pochi gli edifici di proprietà “probabilmente per l’ostilità da parte di proprietari cattolici e per le risorse economiche limitate”. È in questo periodo che inizia a svilupparsi anche un’idea di cooperazione ecumenica. La missione ebbe momenti di diffusione e di arresto; la strategia metodista, molto pragmatica, con i suoi colportori e gli educatori, rallentò, “ma il conseguimento più grande riguardò la qualità e la durata del lavoro nelle scuole. Ad esempio a La Spezia orgogliosamente si riferisce che le autorità educative dell’epoca registrarono risultati molto soddisfacenti e che l’opera crebbe oltre le aspettative. Fu la guerra poi a dare un impatto nella fede oltre al tributo di centinaia di migliaia di morti”.
Alfred T. Day, Segretario Generale della Commissione Archivi e storia della Chiesa metodista unita degli USA, è infine intervenuto su “Le strategie del metodismo americano per l’Italia, 1860-1915”. Day ha spiegato come nasce la Missione metodista americana, attraverso viaggi nelle città italiane e il contatto con la Chiesa metodista britannica in Italia. Anche Day ha citato documenti storici e scritti dell’epoca, che evidenziano non solo l’impegno dei predicatori itineranti, ma anche l’atmosfera che si respirava, dall’amore e odio verso il papa, al fervore con cui si immaginò una missione proprio a Roma. “Si pensò che gli italiani sarebbero stati ricettivi al metodismo, perché impulsivi e passionali; lo spirito vitale del metodismo e la presenza valdese, considerata come favorevole, fece sì che l’Italia si presentasse come un campo maturo per l’evangelismo protestante”. Day cita le esperienze di Germania e Svizzera, restituisce i numeri e le tappe della missione istituita a Roma, che diventa la sede centrale con la chiesa episcopale metodista, la prima a costruire una chiesa nella città eterna con il pastore Teofilo Gay. Un affresco del metodismo americano, che porta in Italia nuove forme di ministero, le scuole domenicali, l’assistenza ai soldati, l’alfabetizzazione delle donne e il lavoro delle diaconesse, in un contesto dove la vita delle donne era limitata a lavori domestici e il prete confessore le indirizzava al matrimonio e alla chiesa. “I metodisti vedevano nella donne una risorsa, volevano che il ministero fosse a più ampio raggio e che le donne fossero protagoniste per la formazione delle giovani, nella scuola e in altri servizi”. Fra le pioniere in questo servizio, la missionaria Emma Hall. Nascono quindi gli orfanotrofi di Intra e Firenze, l’istituto industriale di Venezia Cannaregio, l’istituto d’istruzione di Padova, il collegio a Roma con l’asilo Isabella Clark e l’istituto internazionale Crandon, nato nel 1896 come “Young Ladies College” per iniziativa di William Burt, sovrintendente della Missione metodista episcopale in Italia, l’Istituto di Monte Mario e altre opere. Day ha concluso con una breve panoramica sulle fratture e le evoluzioni della missione, da quella che lui definisce una “bassa marea missionaria” alle modifiche nella disciplina, che in Italia aveva in parte faticato ad affermarsi per quanto riguarda l’uso del vino e del tabacco. Il rinnovamento spirituale si scontrerà con le difficoltà finanziarie negli anni ’20, ma porterà comunque il Ministero metodista americano, con le sue profonde radici nel trionfalismo protestante, a traghettarsi nell’Italia moderna con il suo spirito democratico e progressista, mantenendo ancora oggi nella predicazione e nelle pubblicazioni un punto di forza.