Roma (NEV), 1 marzo 2020 – L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza a favore dello Ius culturae, il principio del diritto secondo cui i minori stranieri possono acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati o in cui vivono da un certo numero di anni, a condizione che in quel Paese abbiano frequentato le scuole o abbiano compiuto percorsi formativi per un determinato numero di anni.
Continua dunque il dibattito politico sulla riforma del diritto di cittadinanza.
Si è intanto dichiarata a favore del riconoscimento della cittadinanza italiana ai minorenni figli di genitori di origini immigrate, la garante Filomena Albano, che ha inviato una nota a Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, presso la quale si stanno esaminando le proposte di legge n. 105, 920 e 717 di modifica dell’attuale legge di cittadinanza italiana, la n. 91 del 1992.
Con essa l’Autorità ha espresso “parere favorevole tanto alle iniziative che prevedono il criterio dello ius soli temperato quanto a quella che intende introdurre il cosiddetto ius culturae“, si legge in un comunicato stampa diffuso dallo stesso ente venerdì 28 febbraio.
“Tutte le proposte di legge – ha dichiarato Filomena Albano – rappresentano un passo importante sul piano dell’integrazione e sono diretta espressione del principio di uguaglianza sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Oggi, nel nostro Paese, un minorenne su 10 ha genitori di origini immigrate. Fino a qualche anno fa la gran parte di questi bambini e ragazzi era nata all’estero. Oggi, invece, la grande maggioranza, più di sette su 10, è nata in Italia. Sono cresciuti qui, parlano in italiano come prima lingua, frequentano scuole italiane e riconoscono l’Italia come il proprio Paese”.
“A questi bambini e ragazzi – che crescono, giocano, sognano e studiano come gli altri – è riconosciuto uno status diverso, in applicazione del principio dello ius sanguinis. Crescono in Italia da stranieri e, nei fatti, finiscono per esser stranieri anche nella patria dei loro genitori. Risulta ad esempio difficile, se non incomprensibile, per uno di questi bambini capire perché non gli siano riconosciute le stesse opportunità dei coetanei, come praticare lo sport a livello agonistico o partecipare alle gite scolastiche all’estero” osserva la Garante. “Una riforma della legge sulla cittadinanza costituisce dunque un passo in avanti per il raggiungimento di un’integrazione effettiva tra tutte le componenti della società. La cittadinanza conferisce infatti senso di appartenenza a una comunità e tale sentimento va coltivato e valorizzato”.
La Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e il suo programma migranti e rifugiati, Mediterranean Hope, nello specifico, da tempo aderiscono e sostengono le varie iniziative della società civile per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di immigrati o cresciuti in Italia, come il flash mob che si è svolto lo scorso dicembre davanti a Montecitorio.