Roma (NEV), 14 marzo 2020 – L’Agenzia NEV ha raggiunto telefonicamente la pastora battista Silvia Rapisarda per farsi raccontare come le chiese battista e valdese di Catania stanno affrontando l’emergenza coronavirus.
La pastora ha sottolineato l’importanza della sanità pubblica, della tutela dei diritti delle persone e del lavoro, di avere delle prospettive future, a partire da ciò che possiamo fare adesso.
Anche a Catania tutte le attività ecclesiastiche e pastorali sono ferme. Come ha reagito la comunità?
L’ultimo culto, senza cena del Signore, è stato il 1° marzo. Essendoci resi conto che non era fattibile mantenere le distanze di sicurezza che erano state indicate dagli esperti, abbiamo sospeso gli studi biblici e chiuso la chiesa anche prima delle ordinanze.
Abbiamo prodotto una meditazione video, divulgata sia nella chat delle chiese che nella mailing list e sui nostri canali social. La comunità è molto attiva nella chat, con le telefonate e i messaggi; fin dalla prima domenica ha dimostrato grande affetto, con riscontri positivi e dimostrando un profondo senso di vicinanza. Sentirsi chiesa, anche a distanza, è di sostegno reciproco.
Cosa suscita secondo lei questa nuova dimensione?
Devo dire che, nella dimensione di essere chiesa, questa costrizione a non potersi vedere fa sentire importante e bello ciò che normalmente diamo per scontato. Siamo parte di una comunità più grande che ci fa sentire sostenuti come esseri umani e nella fede, nonostante la criticità del momento.
Paura e preoccupazione ci sono, ma è positivo dare un segnale forte, anche per le persone più vulnerabili. Abbiamo visto emergere la superficialità di certi italiani, che hanno assunto stili di vita non appropriati alle circostanze. E molti altri che hanno preso in carico il benessere della collettività.
Cosa succede in città?
Fino a lunedì non c’erano, qui a Catania, grossi segni di consapevolezza. Da martedì, dopo il discorso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, le persone hanno iniziato a reagire in modo più o meno rigoroso, sono iniziate le file ai supermercati e nelle farmacie, con ingressi scaglionati.
Per ora, restiamo a casa. Possiamo rivedere la situazione in altri termini, in cosa siamo fortunati. Abbiamo una casa, il riscaldamento, del cibo. In casa la percezione dell’emergenza è attutita, ma se esci ti rendi conto che qualcosa non va…
Riguardo ai vostri progetti sociali ci sono novità?
Come battisti, valdesi e luterani, stiamo ragionando su come mantenere le attività del nostro servizio “Granello di senape”, uno sportello di ascolto per persone immigrate nonché casa di accoglienza per giovani adulti. Come possiamo prepararci all’aumento delle richieste? Come risponderemo ai bisogni delle persone indigenti, ora che non potranno uscire di casa per racimolare quei pochi euro? Anche altri operatori di altre associazioni sono preoccupati per gli effetti dell’emergenza sanitaria fra le persone e nella comunità immigrata che vive nei quartieri ghetto, dove ci sono spaccio, prostituzione, case fatiscenti.
Con quale atteggiamento pensate di affrontare la situazione?
Speriamo di essere all’altezza, di poter dare risposte efficaci di solidarietà, anche in futuro, alle famiglie che avranno grandi perdite economiche, ai precari, alle precarie. Se saremo in grado di farlo come chiese, per quanto piccole, lo scopriremo quando l’emergenza sanitaria lascerà il posto ad altre emergenze. Sarebbe bene che come chiese iniziassimo a pensare già adesso in modo più in ampio.
Penso a tutti quegli eroi dei nostri tempi, ai medici, al personale infermieristico, ai camionisti, alle persone che lavorano nell’ambito dei trasporti, agli operai e alle operaie che mandano avanti le fabbriche, ai riders, a tutte quelle categorie che stanno pagando e pagheranno un alto prezzo.
Secondo lei cosa possiamo imparare dall’emergenza?
Certamente questa circostanza ci fa pensare all’importanza della sanità pubblica, in una società iper-industrializzata che ha un impatto ambientale deleterio, e a quanto siamo dipendenti dai lavori più sottopagati e meno tutelati.
Occorre ripensare ai diritti dei lavoratori di queste categorie e speriamo che questo momento critico possa rappresentare la spinta a cambiamenti positivi del sistema sociale ed economico. Come chiese, possiamo essere una voce che porta avanti questa consapevolezza.
Dov’è Dio?
Dio ci sostiene. Lo preghiamo per noi stessi e per il mondo, ma ricordiamoci che Dio va interpellato anche per i profughi e le profughe ai confini della Grecia e a Lesbo, per chi muore in mare, forse ora ancora di più, per chi è sotto le bombe in Siria, in Yemen, per le donne vittime di violenza, per l’Africa che ha conosciuto epidemie verso le quali ci siamo girati da altre parti. Speriamo che il picco del coronavirus non arrivi al sud come è arrivato al nord, altrimenti sarà un’ecatombe. Pensiamo ai paesi poveri che non hanno l’acqua e avranno a che fare con il virus.
Dio non ci fa sentire soli e ci dona uno sguardo altruistico a tutto tondo. Stiamo vivendo una delle tante situazioni che toccano la fragilità e la precarietà umana, una di quelle situazioni che fanno toccare il male, ma con Dio siamo sensibili non solo quando qualcosa ci tocca di persona, ma anche quando qualcosa tocca gli altri nella sofferenza. Dio ci aiuta ad avere uno sguardo che non trascura.
L’emergenza coronavirus non cambia la nostra fede e il nostro rapporto con Dio, se non abbiamo guardato solo a noi stessi.
La pastora Silvia Rapisarda ha pubblicato sulla sua pagina Facebook alcuni consigli “per questi giorni di maggiore ritiro domestico e minore, o nulla, interazione con altri/e”.
7 consigli, che vanno dal programma giornaliero di movimento fisico, “unendo l’utile al dilettevole per esempio pulendo a fondo per ogni giorno una stanza della casa”, senza dimenticare di fare attenzione a non essere troppo spericolati/e (soprattutto i/le diversamente giovani), per “non intasare gli ospedali con cadute e altre conseguenze di incidenti domestici”; alla cura di sé, ad esempio ponendo particolare attenzione nella preparazione dei pasti; trovare un tempo specifico per la lettura e per la musica; curare le relazioni impegnandosi a sentire telefonicamente ogni giorno quattro persone, oltre ai parenti, in virtù del fatto che “di solito non abbiamo mai tempo e rimandiamo queste telefonate. Ora ce le possiamo godere”; stabilire un tempo per la lettura dei testi sacri, la meditazione, la preghiera; offrire il proprio aiuto a chi è più vulnerabile, garantendo servizi sempre nel rispetto delle regole anti contagio. Infine, suggerisce la pastora, “se siete tra le fasce vulnerabili non esitate a chiedere aiuto”, e conclude dicendo: “Se state leggendo questo messaggio significa che avete internet e dunque, verosimilmente, una casa con tutti i confort (riparo e cibo) insomma siamo e restiamo i/le fortunati/e del mondo”.