Stato di diritto e Covid19, Bouchard: “Il bene comune prevalga”

Dopo l'intervista all'avvocata Ilaria Valenzi, abbiamo chiesto al magistrato Marco Bouchard di ragionare insieme sugli aspetti "giuridici" dell'emergenza coronavirus, sulle limitazioni alle libertà dei cittadini e sulle possibili derive dello Stato di emergenza...

Foto da Pixabay

Roma (NEV), 27 marzo 2020 – La legge ai tempi del coronavirus.

Dopo l’opinione dell’avvocata e consulente della FCEI Ilaria Valenzi, abbiamo chiesto a un altro giurista protestante, il magistrato Marco Bouchard, valdese, presidente della seconda sezione penale presso il Tribunale di Firenze, un parere su quanto sta accadendo nella nostra società a causa dell’emergenza sanitaria. Dai decreti allo stato di emergenza, insomma.

Bouchard, figlio di un pastore protestante, nel 1985 ha iniziato la carriera di magistrato. Ha operato come giudice minorile e pubblico ministero a Torino. Ha insegnato presso l’Università del Piemonte Orientale. Nel 2010 ha presieduto il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste. Vive a Firenze, dove lavora attualmente come giudice penale.

Andiamo subito al punto: lei pensa che lo stato di diritto, la democrazia, siano in pericolo? Che esista un rischio di permanere dello stato di emergenza e di riduzione continuativa delle libertà dei cittadini?

“In questo momento no, non esiste un pericolo reale. Esiste una preoccupazione. Non esiste un pericolo reale perché è abbastanza chiaro che non si tratta di intervenire su una minaccia interna, che possa essere descritta come un atto volontario di compressione delle libertà altrui. Siamo di fonte al dramma di una malattia ancora sconosciuta, un’emergenza nuova per tutti noi. Dobbiamo risalire a 100 anni fa, almeno per l’Europa occidentale, per capire come si affronta una situazione simile, non esistono precedenti nella storia.

Esiste invece una forte preoccupazione. Occorre infatti capire quando avranno termine e se avranno termine le attuali disposizioni e se ci saranno delle modifiche normative che potranno protrarsi oltre l’emergenza. Bisogna stare particolarmente attenti.

Lo storico israeliano Yuval Noah Harari (qui il link al suo editoriale sul Financial Times, dello scorso 20 marzo, “The world after coronavirus”, ndr) ha detto che il vero problema è che gli stati che sono riusciti fino ad ora a governare il problema Covid19, si sono dotati di misure di controllo sociale elevatissimo. Il problema è se saremo costretti a entrare in questa dimensione. Fino ad ora l’invasione dell’intimità è stata legata alle potenze economiche, alle multinazionali che detengono i grandi network, non tanto allo stato. Esiste  ora indubbiamente una preoccupazione legata al connubio tra quelle forze economiche tecnologie e lo Stato. C’è poi un forte rischio che la dematerializzazione delle nostre relazioni pervada tutti i contesti. Ad esempio, per quanto riguarda la mia professione, in questo momento non facciamo udienze ordinarie, solo le urgenze e da remoto. Se questa diventasse la regola, sicuramente il processo in sé si modificherebbe in modo terribile, con una possibile diminuzione di garanzie per le persone. Sarebbe devastante per il sistema.

Come valuta le sanzioni per i cittadini che violano le disposizioni?

La preoccupazione non è tanto quella. Ci stiamo dimostrando un popolo più che disciplinato. Il fatto che si intervenga con sanzioni pecuniarie non è a mio avviso un problema. Rispetto alla collettività, al diritto collettivo alla salute, penso invece che questi provvedimenti abbiano un senso preciso.

L’amministrazione di Roma Capitale ieri sui suoi canali social ha invitato i cittadini a segnalare gli assembramenti, attraverso un Sistema unico di segnalazione attivo sul portale istituzionale. E’ un’iniziativa lecita? Cosa ne pensa? 

E’ una cosa lecita, nella misura in cui non attribuisce dei poteri di delazione che rischiano di essere molto interessati. Si tratta semplicemente di segnalare e credo sia un’iniziativa doverosa: di mezzo c’è la salute pubblica e il fatto che delle persone possano infettare gli altri, questo è gravissimo. Anche su questo Harari diceva un’altra cosa intelligente: rischiamo di entrare in una società del rischio anche per quanto riguarda le malattie, da un lato questo rischia di esagerare il controllo, dall’altro c’è anche la possibilità che le persone si responsabilizzino. Il fatto di accentuare uno spirito del bene comune io non lo trovo sbagliato.

Lei si è occupato molto anche di minori e carcere. Dopo quanto accaduto negli istituti di pena, quali interventi servirebbero?

Tutti coloro che hanno un fine pena molte breve andrebbero immediatamente scarcerati, che escano due, tre mesi prima per la realtà esterna al carcere non cambia molto, mentre  cambia moltissimo per chi vive dentro. Un esempio: in un caso di una rapina impropria, ho applicato una pena di 5 anni, che è il minimo, poi è scoppiata la pandemia, ora questa persona (condannata e in attesa di giudizio, la cui sentenza non è definitiva e quindi non può scontare in anticipo la sua pena) anche se uscisse non può che stare chiusa in casa e quindi ne ho stabilito la scarcerazione.

Credo che la valutazione dell’epidemia dovrebbe portare a una diversa valutazione della tutela necessaria. Considerando anche che ovviamente c’è già una netta diminuzione dei reati di strada e predatori, perché è diminuito il rischio che le persone commettano determinati reati, appunto.

Diminuire la pressione in carcere per le oltre 60mila persone negli istituti di pena sarebbe quindi una strategia possibile. Per arrivare non a uno svuotamento delle carceri ma alla liberazione anticipata di tutti coloro che usciranno comunque a breve.

E le famiglie?

La limitazione generalizzata della libertà di movimento comporta dei rischi altissimi all’intero dei nuclei famigliari e delle situazioni a elevata conflittualità. Quindi forse si dovrebbe moltiplicare anche le possibilità di contatto riservato con le persone più esposte alla conflittualità, in termini di possibili maltrattamenti e violenze. Riconvertire le associazioni, come abbiamo fatto anche noi della Rete Dafne, un servizio pubblico e gratuito per l’assistenza alle persone vittime di reato di cui sono presidente, offrendo il nostro supporto non più di persona ma a distanza, telefonicamente.

Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, lo scorso 20 marzo, in un’intervista su La Repubblica, ha dichiarato: “Cerchiamo, come giuristi, di non fare gli azzeccagarbugli”. Cosa devono fare secondo lei le donne e gli uomini di legge, in un momento come questo? 

I giuristi e tutti gli operatori che si occupano di diritto, secondo me devono, non solo dal punto di vista teorico ma anche pratico, già fin da adesso riflettere su come lavorare dopo l’emergenza. Il punto per me è questo, ad esempio rispetto ai processi. Capire subito come le tecnologie potranno essere utilizzate positivamente. La scommessa è questa”.

 

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