Luterani. Cordelia Vitiello: “Ho visto la morte con gli occhi”

Intervista alla vice-presidente della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), nonché presidente dell’Ospedale Evangelico Betania di Napoli e membro del Consiglio della Federazione luterana mondiale (FLM). Guarita dal COVID-19, Vitiello ha rilasciato un’intervista a Nicole Dominique Steiner

Roma (NEV/CELI), 9 aprile 2020 – È una miracolata. O almeno così si sente. Cordelia Vitiello, vicepresidente del Concistoro della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI) e presidente dell’Ospedale Evangelico Betania di Napoli, nonché membro del Consiglio della Federazione luterana mondiale (FLM), è risultata positiva al COVID–19. Diversi giorni a casa in isolamento e poi, il 15 marzo 2020, il ricovero. Dopo due settimane all’ospedale Ruggi di Aragona di Salerno, i due tamponi negativi e il ritorno a una vita che non sarà più quella di prima. Nicole Dominique Steiner l’ha intervistata per il sito CELI. Riprendiamo qui di seguito l’intervista integrale.

Come ci si sente dopo un’esperienza del genere?

Rinata. A Napoli c’è il detto “ho visto la morte con gli occhi”. Ed era proprio così che mi sono sentita. Quando mi hanno comunicato l’esito del tampone ho pianto. Positiva. Pensavo di dover morire. Di essere arrivata al capolinea. Eravamo all’inizio della pandemia, si parlava solo di morti. E ho continuato a piangere quando mi hanno messo nell’ambulanza, e io non sapevo neanche dove sarei stata portata.

È presidente dell’ospedale Betania ma non è stata ricoverata lì….

No. Betania è un pronto soccorso per smistare i casi. Adesso, dopo l’accordo con la Regione Campania che ho firmato ieri (7 aprile) sarà anche ospedale post-COVID. Io sono stata portata a Salerno, all’Ospedale Ruggi, la Clinica della facoltà di Medicina. Del resto un ospedale da sempre specializzato in malattie infettive.

Che ricordo ha di questi primi giorni?

Mi sentivo dentro un vortice. Tutta è successo con una velocità impressionante. Ho iniziato a star male, mi sentivo spossata, debolissima e avevo questo gran mal di testa. Poi dal 15 marzo la febbre molto alta. La decisione di chiamare l’ospedale e poi l’ambulanza. Già al Betania mi hanno fatto non solo il tampone ma anche la TAC e con quella si è visto ancora prima del tampone che ero malata di COVID. Avevo la polmonite.

Aveva tosse, le mancava il respiro?

No, infatti per fortuna non ero in terapia intensiva. Avevo la maschera di ossigeno. Non avevo problemi a respirare, ma il mio sangue era povero di ossigeno, da lì il mal di testa. Terribile. Giorno e notte.

Che impressione le facevano medici e infermieri quando entravano in stanza tutti bardati?

Poverini, era impossibile riconoscerli coperti com’erano. Solo dalla voce. Ho vissuto una grandissima umanità. Mi sono sentita, come dire, in buone mani. Sono degli eroi, davvero. Poi per fortuna, la signora che era con me in stanza e io, eravamo quelle che stavano meglio in tutto l’ospedale. La cura ha fatto subito effetto. Sono stata trattata con medicinali anti-artrite. Quando sono stata dimessa mi hanno salutata con un applauso. Un’emozione incredibile…

In una situazione così sono importanti i messaggi che arrivano da fuori…

Importantissimi. Ho ricevuto un messaggio dal Direttore generale della Federazione luterana mondiale, Martin Junge, che mi ha chiesto come stavo e mi ha detto che tutti mi ricordavano nelle loro preghiere. Il nostro decano, Heiner Bludau, mi ha scritto “pregherò per te e fidati: il Signore ha bisogno di te…”, il presidente della FLM, Panti Filibus Musa, mi ha chiamato, e tanti altri ancora…

Ecco, in questa situazione così estrema si è sentita sostenuta dalla sua fede?

Altroché. Io sono stata cresciuta nella fede da mia madre, che discendeva da una antica famiglia tedesca di pastori e vescovi luterani. Da bambina mi leggeva sempre la Kinderbibel, la bibbia per bambini. E adesso, appena potrò entrare nel mio appartamento, la devo cercare, voglio rileggere queste frasi. La morte di mia madre infatti è stata come un segnale per me di impegnarmi anche attivamente nella Chiesa. Da sola, all’ospedale, con tutte le mie paure, pensare a Dio mi è stato di conforto. Come anche pensare alla chiesa e al suo senso di comunità. In tanti mi hanno mandato messaggi. Mi sono sentita cullata dal loro affetto. Dal senso di appartenenza.

Ha avuto anche paura per suo marito?

Non dormivo di notte dalla paura. Lui ha settant’anni ed è risultato positivo. Per fortuna è asintomatico. È uscito adesso dalla quarantena. Io invece per due settimane devo ancora vivere da reclusa.

È stata ricoverata due settimane. Per certi versi immagino, un’eternità. In una situazione così ci si mette a riflettere. Cosa le passava per la testa in quelle giornate interminabili?

Ho rivisto tutta la mia vita, momento per momento. Gli insegnamenti che ho ricevuti da bambina. Mia madre tedesca, religiosa, mio padre, un intellettuale laico, uno spirito libero. Un’educazione chiamiamola eterogenea che mi ha molto segnata. Ho pensato ai veri valori della vita. Alle cose che ho fatto. E pensavo anche al futuro. Come sarà il dopo COVID?

Lei crede che questa pandemia porti ad una svolta?

Penso che questo ci farà tornare ai valori veri. Questo lockdown darà una svolta al mondo. Farà capire che non basta solo il tornaconto economico. Che ci sono delle cose più importanti. Che c’è la responsabilità sociale. La responsabilità per il nostro pianeta che stiamo massacrando e che ci ha fatto vedere in queste poche settimane che è pronto a riprendersi tutto.

Ha fatto delle promesse a se stessa? Cambierà qualcosa nella sua vita?

Due cose mi sono promessa. Di essere più me stessa. Di concentrarmi sulle cose essenziali nella vita, la mia famiglia, mio figlio, mio marito. Di tentare di essere sempre presente, di cercare la serenità. Di godere delle piccole cose. Godermi la casa, il giardino. Gli amici. E sul piano del lavoro, della chiesa e dell’ospedale, di concentrarmi sulle cose essenziali, non perdermi più in cose futili, non focalizzarmi sugli errori. Di farmi guidare dalla mano di Dio.

Adesso è ancora in quarantena. Quando uscirà potrà tornare ad abitare assieme ai suoi cari. Ha già pensato a cosa fare quando anche le restrizioni dell’#iorestoacasa verranno alleggerite?

La prima cosa che farò è andare al mare, passeggiare, correre lungo l’acqua, ballare sulla spiaggia. Noi nati vicino al mare ci portiamo il mare nel sangue. E poi vorrei tanto tornare in Germania. Vedere la mia famiglia, gli spazi verdi…