Roma (NEV), 20 maggio 2020 – Nei giorni scorsi abbiamo appreso che nel 2019 il Governo italiano ha autorizzato la vendita di armi per 5,17 miliardi di euro di cui il 58% di produzione Leonardo.
È quanto emerge dai dati contenuti nella Relazione governativa annuale sull’export di armamenti ex legge 185/90 appena trasmessa al Parlamento, e anticipati oggi da Rete Italiana per il Disarmo, di cui la Commissione Globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia fa parte (FCEI) fa parte, e Rete della Pace.
Complessivamente il 62,7% delle autorizzazioni per licenze all’export ha come destinazione Paesi fuori dall’Unione Europea e dalla Nato. Fra le prime 10 destinazioni delle autorizzazioni all’export di armi italiane nel 2019 troviamo quattro Paesi Nato (due dei quali anche nella Ue) insieme a due dell’Africa Settentrionale (Egitto e Algeria), due asiatici (Corea del Sud e Turkmenistan) ed infine Australia e Brasile.
Questi i numeri della geopolitica del nostro Paese che documentano la partecipazione italiana alla alimentazione delle guerre nel mondo e particolarmente di quelle intorno a noi.
Il documento di Rete Italiana per il Disarmo quantifica gli interessi economici nella guerra in Yemen: “nuove autorizzazioni per quasi 200 milioni di euro, consegne definitive certificate dalle Dogane verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi per 190 milioni di euro. Circa 95 milioni di euro consegnati agli altri membri della coalizione a guida saudita. Quasi 25 milioni di euro di controvalore per centinaia di bombe sono stati sicuramente esportati da RWM Italia verso l’Arabia Saudita”.
Si tratta di forniture che il Parlamento europeo aveva chiesto di interrompere già nel febbraio 2016 a tutti gli stati membri, ponendo un embargo sugli armamenti destinati all’Arabia Saudita. L’Italia ha interrotto le forniture il 31 luglio scorso.
E’ evidente che l’appello del 23 marzo di Antonio Guterres, segretario delle Nazioni Unite, se mai ha raggiunto qualche coscienza non ha toccato gli assetti produttivi né politici. Business as usual.
Una marcia per la pace che non fa i conti con la dimensione materiale che intreccia i redditi e i profitti e il PIL nazionale rischia di essere una esercitazione di buone intenzioni. Per questo l’attività di una parte piccola ma determinata della società civile e anche delle chiese battiste locali nel Sulcis riunita in Comitato per la riconversione della RWM è un esempio che le ricche economie del nord Italia non osano. Dall’ennesimo incidente di una azienda chimica che produce acetone, la 3V Sigma di Porto Marghera il 15 maggio ai dati del settore bellico, la nostra attività produttiva genera una scia di morte a cui siamo ormai assuefatti e che la tanto agognata riapertura dei negozi sposterà in un angolo remoto della mente.
Leggi QUI il comunicato di Rete italiana per il disarmo e Rete della pace