Roma (NEV) – 1 giugno 2020 – Pubblichiamo di seguito un’intervista di Paolo Emilio Landi a Gustavo Zagrebelsky, già Presidente della Corte Costituzionale, per la rubrica di RAI2 Protestantesimo, a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), un cui estratto è andato in onda domenica 31 maggio nel corso della puntata “Diritti o salute”.
Si è detto che l’emergenza legata alla pandemia ha avuto degli aspetti che sono entrati in contrasto con il dettato costituzionale, con una sospensione dei diritti, anche quello di esprimere liberamente la propria fede. Cosa ne pensa?
Ogni volta che si entra in una fase di emergenza si comprimono le libertà individuali nell’interesse generale. Limitando la mia libertà evito danni agli altri; si sopportano dei limiti ma non fini a se stessi, o strumentali all’interesse politico come accade nei paesi autoritari, ma perché si vive in un contesto sociale dove beni come la salute o la vita devono essere salvaguardati attraverso un atteggiamento di responsabilità di tutti verso tutti.
Secondo lei siamo stati messi alla prova? È stato sperimentato a quanta libertà e a quanta democrazia siamo disposti a rinunciare in nome della salute o della sicurezza?
Io sono un po’ meno ottimista rispetto a chi ha detto che il popolo italiano ha dato senso di responsabilità durante la fase 1. Secondo me ha giocato non solo senso di responsabilità ma anche la paura. Vorrei però far osservare che il diritto più democratico è il diritto alla vita e alla salute perché ci riguarda tutti allo stesso modo, anche se le conseguenze non sono uguali per tutti. Il giorno che si farà, se mai si farà, un’indagine statistica sulla composizione sociale delle vittime della pandemia, si dovrà constatare che gli ultimi della terra, chi ha meno risorse e possibilità, è stato colpito di più. Non siamo tutti sulla stessa barca. Dal punto di vista della coscienza democratica e della preoccupazione per l’uguaglianza quell’indagine andrebbe fatta: nelle favelas e nelle bidonville come si è diffuso il Covid? Io temo che lì ci siano state conseguenze anche maggiori che in Italia.
C’è una prevalenza di un diritto su un altro, e come si gestisce questa prevalenza?
La nostra Costituzione prevede la possibilità di limitare, per motivi di sicurezza e salute, il diritto di muoversi e di circolare. Queste restrizioni, che comprimono la libertà individuale per un bene superiore altruistico, debbono essere ragionevoli, finalizzate a uno scopo e temporanee. Su questo dovrà vigilare il Parlamento e il Presidente della repubblica. Io non credo che siamo in una fase predittatoriale anche se patiamo delle limitazioni. Il limite alla libertà di circolazione che abbiamo vissuto ricade su altri diritti, come ad esempio quello di esercitare la propria fede, di frequentare amici, parenti, il diritto allo studio… Ma queste limitazioni non sono oggetto diretto delle misure antivirus ma conseguenze inevitabili.
Che cosa pensa di questo tentativo, che ha suscitato anche molta ironia, di regolare tutti gli aspetti della vita umana attraverso dei decreti?
Ribadisco l’idea che le regole giuridiche intervengono in carenza di senso di responsabilità. Se tutti fossimo pienamente responsabili non ci sarebbe bisogno di leggi perché avremmo spontaneamente un comportamento accettabile. D’altra parte il proliferare di regole in tutti i campi della vita evidenzia una bulimia del legislatore, un vizio italiano nel voler regolare tutto. Qui vorrei fare un discorso biblico: nella lettera ai Romani l’apostolo Paolo dice sostanzialmente che Cristo è venuto per liberarci della legge, e si riferisce al fardello di prescrizioni presenti nei libri del Levitico e del Pentateuco. Se si sostituisce all’idea dell’obbedienza quella della fraternità e della carità, più laicamente della responsabilità degli uni verso gli altri, non c’è più bisogno di legge. È triste notare che le regole giuridiche hanno invaso la nostra vita e forse questo è il segno di un difetto di responsabilità.
È un deficit etico?
Certo. Vorrei far notare cosa avverrebbe se riuscissimo a rovesciare il punto di vista e passare dall’imposizione e l’obbedienza alla legge alla responsabilità. Prendiamo ad esempio la limitazione ad andare in spiaggia: se io ragionassi in termini di responsabilità e dicessi che vado in spiaggia nelle ore di minor affollamento e lo scelgo io, quella prescrizione non è più un’imposizione o un limite alla mia libertà ma un esercizio della stessa. Il passaggio dalla prescrizione giuridica all’assunzione di responsabilità è il passaggio dalla limitazione della libertà all’esercizio della libertà.
Il fatto che il legislatore e il governo cadano in questa bulimia di prescrizioni denuncia un’idea di ciò che pensano del popolo italiano?
È il portato di una cultura pluricentenaria di individualismo che ci porta a dire che possiamo fare quello che vogliamo. La vicenda del coronavirus dovrebbe averci insegnato che ci sono tanti aspetti della vita individuale che sono collegati a un interesse generale, collettivo, e che di individualismo si muore. Oggi il problema è riuscire a collegare l’olismo, come idea del tutto in cui tutti siamo, con l’autonomia individuale. Ma solo di individualismo si muore, soprattutto se pensiamo a come il nostro mondo sia interconnesso tra aspetti economici, ecologici e anche legati alla salute.
Secondo lei c’è il rischio che l’idea dell’emergenza si stabilizzi e diventi una forma mentis, e quindi un pericolo per le garanzie costituzionali?
Alcuni hanno detto che questa potrebbe essere la prova generale di un regime politico oppressivo dei diritti e delle libertà. Non credo che sia così, almeno fino a quando perdureranno la libertà di opinione e la discussione libera, e fino a quando ci saranno libere elezioni. Una parte importante in questa partita la giocano anche la stampa e la televisione che dovrebbero mantenere viva l’idea che stiamo vivendo una situazione eccezionale, un momento di emergenza. Rispetto ad altre epoche, oggigiorno è molto diverso essere confinati in casa con tutti gli strumenti di cui disponiamo che ci permettono di formarci un’opinione ed esprimerla, e mantenere una rete di relazioni sociali.
Nel futuro prevarrà il senso di responsabilità o la paura?
Dobbiamo convivere con i due aspetti. Finche c’è paura ci si sottomette a delle limitazioni; il giorno in cui il sentimento di paura non sarà più così forte emergerà nel popolo italiano la sua natura anarchica, l’idea che oltre un certo limite ciascuno fa ciò che vuole. Questo, che entro un certo limite è un difetto di socialità, è d’altra parte anche una radice che ci difende dal rischio di totalitarismi e di involuzioni autoritarie. Molto spesso le categorie di solidarietà, paura, individualismo hanno due aspetti, negativo e positivo, e anche il senso di anarchia del popolo italiano, che spesso denunciamo perché ci porta a sperpero di risorse pubbliche, danneggiamento della natura e dei beni comuni, rappresenta una fiammella che ci protegge.