Roma (NEV), 10 giugno 2020 – “Fedi e libertà” è il titolo di un ciclo di incontri – divenuto anche un libro – sulla laicità e sulle religioni, promosso dal Centro Studi Confronti e dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, con la Fondazione Cariplo. Ne è nata anche una tavola rotonda – on line, via zoom e su Facebook – che si è svolta ieri pomeriggio, martedì 9 giugno.
Franco Ippolito, giurista, presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso, introducendo il seminario, moderato dal direttore di Confronti Claudio Paravati, ha spiegato il percorso di questo ciclo sui temi delle religioni e dei diritti, nella società attuale e rispetto alle scelte della politica.
Le religioni sono appunto divenute nel mondo contemporaneo, spesso, un “baluardo dell’identità”, come ha detto Ippolito. Dunque il pluralismo e le dinamiche relative agli immigrati rappresentano la “sfida di una nuova laicità”.
“Nel nostro orizzonte vi è il tema della coesione sociale, che in modo particolare in Lombardia, il territorio di elezione di Fondazione Cariplo, si declina come capacità di inclusione, perchè qui l’immigrazione ha una storia antica, è costituente delle nostre comunità”, ha dichiarato nei saluti iniziali Paola Pessina, vicepresidente della Fondazione Cariplo, che ha sostenuto l’iniziativa.
Dopo un interludio musicale del pianista Alessandro Sgobbio, l’intervento del filosofo e professore Giovanni Marramao, che ha tra l’altro sviscerato il ruolo dei pentecostali in diversi Paesi del mondo, nel quadro di una “crisi sociale che determina una radicalizzazione delle disuguaglianze”. “Il problema fondamentale – ha spiegato Marramao – non è solo il pluralismo religioso ma come comporlo in una sfera pubblica che sia in grado di fare comunità, partendo dal presupposto che le fedi sono state un campo di battaglia decisivo all’inizio dell’età moderna a favore della tolleranza, da Locke a Voltaire”. Di una “pluralità delle vie” e di “comunità in viaggio” ha quindi parlato il docente.
Un altro docente, Maurizio Ambrosini, sociologo dei processi migratori dell’Università degli Studi di Milano, ha scritto, tra l’altro, con Paolo Naso e Claudio Paravati, il libro “Il dio dei migranti” e ha iniziato il suo intervento con “la revisione del paradigma della secolarizzazione: non è un processo univoco, lineare, indiscusso”, grazie all’arrivo degli immigrati. Emergerebbe cioè una “geografia complessa dei rapporti tra credenza, appartenenza, pratica religiosa e proiezione politica del religioso”. Fino alla dimensione del welfare, particolarmente importante durante l’emergenza sanitaria degli ultimi mesi.
Per Sumaya Abdel Qader, consigliera comunale a Milano, la politica “può riconoscere, includere e valorizzare”, rappresentare “la chiave per impedire autoesclusioni, ghetti”. Ma l’Italia è pronta a questo? “No, c’è uno stallo incredibile rispetto a questioni fondamentali, come la riforma della legge sulla cittadinanza”, ha dichiarato la consigliera comunale del capoluogo lombardo.
Secondo Giovanni I. Giannoli, della Fondazione Lelio e Lisli Basso, “chi trasforma la fede in identità potrebbe avere delle questioni di fede che non vuole mediare”. Occorre dunque, secondo il professor Giannoli, capire dalle differenze, affrontandone anche i problemi, come esse possano non diventare limiti.
E di come i media italiani raccontino queste differenze ha parlato la giornalista Sabika Shah Povia, autrice tra le altre cose, proprio di recente, durante il lockdown, di un servizio sul Ramadan andato in onda nella trasmissione tv “Propaganda Live”, su La7. “Il giornalismo in Italia è fatto per lo più da uomini bianchi over 50 – ha esordito la giornalista -, anche se lentamente si sta comunque diversificando. Io, ad esempio, posso fare da “ponte” tra due culture, ma spesso non si riesce ad accettare che possa parlare d’altro. La mia generazione non ha molte opzioni, ma dobbiamo capire l’importanza del nostro ruolo, in modo che, anche se “non possiamo decidere noi”, il futuro possa essere diverso”.
Ilaria Valenzi, del Centro Studi Confronti, avvocato, responsabile legale della FCEI, ha poi puntato l’attenzione sulla legge che non c’è, quella che dovrebbe garantire il pluralismo religioso: sarebbe necessaria per “riconoscere l’esistenza del pluralismo, uno dei primi diritti fondamentali, che ha le sue basi nella Costituzione”. Una norma che manca, “mentre l’esigenza cresce sempre di più, e questo comporta una difficoltà di inclusione, nel mancato riconoscimento di un’identità complessa per ogni individuo”.
Cinque cerchi, cinque grandi questioni interconnesse, le ha proposte, concludendo l’incontro Paolo Naso, del Centro studi Confronti, docente e coordinatore di Mediterranean Hope. “Il primo anello sono le “bussole rotte”, in questo momento siamo senza bussole, o meglio, le abbiamo perse. Il secondo livello è che c’è bisogno di legittimazione, e su questo intervengono le religioni: non riusciamo a fare un ragionamento politico senza religioni – ha spiegato Naso, facendo anche riferimento ai gesti e alle parole di Jair Bolsonaro, Viktor Orban, Matteo Salvini -. In questo quadro i fondamentalismi diventano plausibili, e questo è il terzo anello, e se non stiamo attenti moriremo di fondamentalismi. In ragione dei grandi processi di globalizzazione, viviamo un grande pluralismo religioso su scala internazionale e questo spaventa molti Paesi, abituati a percepirsi come culture – quarto anello. Il tema della laicità si inquadra nel diritto a un paradigma che mi consenta di essere pienamente credente o anche non credente o perfino “diversamente credente”, fuori dalle categorie del nostro ordinamento. Il quinto anello: una laicità per addizione, del pluralismo, che aggiunge e non toglie, non “contro” ma che accolga le pratiche”, le differenze.
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