Roma (NEV), 16 giugno 2020 – “Francamente ateo” amava definirsi il filosofo Giulio Giorello, scomparso ieri a Milano per le conseguenze del coronavirus che aveva contratto qualche mese fa.
Ateo, certo, ma in costante dialogo con le fedi potremmo dire rileggendo la sua lunga biografia.
Un tema, quello delle presenze religiose, che ha accompagnato la vita del filosofo, come ricordava lui stesso lo scorso anno a Bologna nel corso del il 2° incontro annuale della European Academy of Religion (EuARe), nel panel “Religione, scienza e Weltanschauungen” con Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma.
E sono numerosissime le occasioni in cui il filosofo si è confrontato, in modo libero e divertente, con il mondo protestante; le sue partecipazioni a tavole rotonde e dibattiti con vari esponenti del mondo evangelico restituiscono la sostanza di un uomo dalla inesauribile passione civile e umana.
Giorello aveva studiato al Liceo Giovanni Berchet di Milano e il suo insegnante di religione era stato don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Nello stesso incontro di Bologna aveva raccontato la libertà intellettuale sperimentata nella sua famiglia di origine e il libero approccio educativo che lo aveva spinto ad indagare proprio i contesti più originali e lontani dalla propria esperienza familiare, culturale e religiosa. Era così che era arrivato a scoprire Martin Lutero e in particolare l’idea del sacerdozio universale.
Poi l’incontro con Ludovico Geymonat, il suo maestro, e i suoi contatti con i filosofi della scienza tedeschi, in particolare Moritz Schlick.
Di Geymonat, diceva Giorello, lo colpiva “non è solo la doppia personalità di combattente per la libertà e di uomo che aspirava ad un rinnovamento della filosofia, ma anche la sua doppia natura culturale”.
Ricordava Giorello che il filosofo, di famiglia valdese di Torre Pellice, aveva conseguito una seconda laurea in matematica e “questo dimostrava la sua esigenza fondamentale di mettere insieme il pensiero filosofico e la pratica scientifica. Io ho avuto l’impressione, visitando spesso la sua casa, e quindi osservando quali fossero le sue frequentazioni, che lui fosse capace di comunicare a me e ai miei coetanei il gusto per la pluralità e i modi diversi di pensiero”.
Il dubbio, che sempre a Bologna aveva definito “alimento del dibattito e atteggiamento critico che individua i punti problematici di una disciplina”, era forse il tratto principale della sua ricerca filosofica, il metodo per risolvere anche il rapporto scienza-filosofia-fede.
E proprio su questo Giorello aveva concluso a Bologna: “mi piacerebbe assistere ad un incontro o anche ad un conflitto su questi territori ma che arrivi a sviscerare quali sono i problemi di fondo. Il fatto che ci siano state forme di pensiero a cui non è stato data una struttura verticistica mi sembra una cosa buona. La pluralità è un’occasione”.