Roma (NEV), 24 luglio 2020 – Il 3 luglio di 25 anni fa Alexander Langer moriva suicida. Politico pacifista e ambientalista, Langer ha lasciato un’eredità di pensiero ancora attuale. L’Agenzia NEV ha intervistato Jutta Steigerwald, che lo ha conosciuto negli ultimi anni della sua attività. Ricercatrice e saggista, già componente della Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Jutta Steigerwald ha collaborato con il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). È curatrice, fra l’altro, del volume “Voglio di più! Limiti alla crescita di lavoro e consumo” edito per la FCEI da Claudiana, insieme all’attuale coordinatrice GLAM, Antonella Visintin.
Cosa resta del pensiero di Alexander Langer?
Alexander Langer non ha lasciato libri. Ha lasciato articoli, interviste, interventi in assemblee di vario genere in Italia e all’estero, di ONG, comuni, comunità, sindacati, movimenti, nei vari parlamenti nei quali era eletto, come nel Parlamento regionale del Sudtirolo e, dopo, al Parlamento Europeo.
I suoi pensieri e il suo impegno, nella sua vita purtroppo troppo breve, non hanno perso di attualità. Una convivenza civile, pacifica e interetnica era una delle sue visioni, essendo cresciuto in Sudtirolo dove convivono tre gruppi etnici. La sua proposta di conversione ecologica era la risposta alla distruzione della biosfera, che rappresenta la vita per tutti noi. Il concetto di un comune debito ecologico era alla base del suo tentativo di coinvolgere ciascuno secondo le proprie possibilità e responsabilità. Le sue capacità di ascolto e dialogo furono apprezzate da tutti, dalle persone comuni quanto nei parlamenti, dagli avversari politici ai compagni di viaggio.
Ho conosciuto Alexander Langer nella sua età matura, negli ultimi 8 anni della sua vita. Perciò mi limiterò a parlare di questo periodo, seppure il suo impegno per “migliorare il mondo” era iniziato già al liceo di Bolzano.
Langer era una persona colta, intelligente, gentile, intelligentemente onesta. Ricordo la sua profondità pensiero, la sua spiritualità, la volontà a costruire reti. Era un “costruttore di ponti”, come alcuni lo hanno chiamato. Queste qualità non perdono valore e i contenuti da lui portati sono quanto mai attuali. Langer ha indicato dove abbiamo imboccato strade sbagliate, dal punto di visto ecologico, culturale e politico, senza fissazioni o aggressività. Era un convinto democratico e europeista, non sopportava la disonestà intellettuale, non era un uomo con ambizione di potere. Era una persona amichevole e non mancavano mai, da parte sua, le proposte per intraprendere concretamente i necessari cambiamenti, per ritrovare un equilibrio tra gli esseri umani e per risanare la rigenerabilità del Pianeta.
Accanto alle sue attività di parlamentare, Langer era cofondatore della Campagna Nord-Sud e collaborava con diverse reti e organizzazioni, fra cui Biosfera-sopravvivenza dei popoli – debito; Osservatorio sull’impatto ambientale, culturale e sociale della Cooperazione internazionale italiana; Fiera delle utopie concrete di Città di Castello; Verdi italiani; Verona Forum per la Pace; Alleanza per il clima tra città europee e popoli indigeni.
Quali sono, secondo lei, le sfide del presente?
Il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, le disuguaglianze sociali nazionali e internazionali. Ma anche il superamento di un’economia che promuove una crescita illimitata, modi di produzione senza misura, l’usa e getta, la fede nella tecnologia e nei soldi, le spinte consumistiche. Queste comportano una vita frettolosa con l’illusione che “ben-avere” equivalga a “ben-essere”. Perdendo la strada. Intanto avanzano i deserti, le erosioni del suolo, mari inquinati dai residui del consumismo, disboscamenti continui, inquinamento dell’aria, città di grandezze spaventose, migrazione, conflitti bellici, nuove malattie. La lista si potrebbe allungare, dimostrando l’interdipendenza dei sistemi e gli squilibri sul piatto della bilancia. La velocità, la lontananza che viene superata artificialmente e in modo innaturale con la super-velocità, tutto tende a soddisfare un “sempre di più” insostenibile. La situazione non cambia, neanche mettendo davanti alle parole un aggettivo “sostenibile”, “verde”, “biologico”. Le leggi del mercato e l’idea che tutto abbia un prezzo penetrano dappertutto, anche nelle menti e nei corpi umani.
Non ultimo, il covid-19. Epidemie o pandemie non sono nuove, ma è cambiata la velocità di contagio, per la globalizzazione e per gli spostamenti veloci delle merci e delle persone. Il brusco stop dovuto al lockdown, da un lato, ha messo una lente di ingrandimento sui problemi esistenti. Dall’altro lato, la natura con gratitudine si è subito presentata con processi di rigenerazione e bellezza.
Come proseguire? Speriamo con cambiamenti seri, non solo dando qua e là una pitturata di “verde” (“greenwashing”, strategia per nascondere la cattiva reputazione ambientale di aziende e sistemi attraverso azioni apparentemente ecologiche, ma che nella sostanza non lo sono o non sono sufficienti a riparare i danni già fatti, ndr).
Quali potrebbero essere le tappe di una conversione ecologia nel nostro tempo?
Servono apertura mentale, un nuovo sapere e una nuova determinazione per limitare i danni. Dobbiamo rendere compatibile la nostra presenza e il nostro impatto sul pianeta e rifondare le basi naturali della vita. Si tratta di ritrovare un equilibrio fondamentalmente turbato.
La prima tappa dovrebbe iniziare localmente, dove si può seguire la rigenerazione. La premessa è che si smetta di vedere l’essere umano (bianco e maschio) come superiore rispetto agli altri. Siamo tutti “conviventi”, diverse culture, diverse provenienze geografiche, piante e animali.
Bisognerebbe cambiare visione del mondo, immaginare uno sviluppo sostenibile, equilibrato, sobrio e rigenerabile. Senza piante e animali la terra e noi non potremmo esistere. C’è un rapporto reciproco tra esseri umani e natura: catena alimentare, ossigeno, abitazioni, riscaldamento, acqua, e così via; dobbiamo renderci conto della circolarità della vita. I danni provocati tornano come un boomerang e magari colpiscono coloro che hanno meno contribuito a causarli. Come per il riscaldamento globale, che sta colpendo di più i paesi del Sud del mondo che hanno meno partecipato alla corsa distruttiva.
Attraverso la consapevolezza della mutua connessione e della biodiversità, bisognerebbe raggiungere un rallentamento che aprirebbe le possibilità di rigenerazione, misura e sobrietà. E bisognerebbe anche introdurre gentilezza nel considerare i nostri co-fratelli e co-sorelle. Questo dovrebbe essere innanzitutto un processo culturale ed educativo. La creazione non è qualcosa esterna a noi, ma ne siamo parte intrinseca.
Conversione ecologica significa vedere dove la natura è stata ferita, dove dobbiamo recuperare e che cosa (ad esempio tornare dalle monoculture alle diversità biologiche); dove dobbiamo curare i processi vitali. Significa rallentare per vedere e comprendere la circolarità della vita, significa un’economia della vita e non del profitto, lasciando indietro avarizia, gelosie, competizione. Stefano Mancuso, neurobiologo di Firenze, descrive molto bene nel suo libro “L’intelligenza delle piante” la sensibilità e l’intelligenza, appunto, delle piante, che non hanno un cervello però hanno molti più “sensi” dell’essere umano, e una capacità di comunicare e cooperare tra di loro. Le piante ci offrono un vasto campo di studio e di insegnamento.
La tecnologia dovrebbe inserirsi in questi parametri e la politica dovrebbe sostenere questi processi in modo democratico. Dall’ecologia della vita fluiscono convivenza pacifica e giustizia sociale.
Secondo lei ci sono altri studiosi e studiose che hanno portato un contributo di pensiero e di pratiche relativamente alle (in)giustizie sociali ed ecologiche?
“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” dice l’aforisma di Lao Tzu. In tutto il mondo ci sono tantissimi gruppi e persone che per motivi vari hanno conservato una tradizione (indigeni, contadini, religiosi, donne, educatori, ecc). Alexander Langer diceva: “Si deve essere conservatore per essere progressista?”. Secondo me questa domanda esprime bene la base del progredire, l’evolversi. Se si distruggono gli equilibri della vita, dove si va?
All’incontro dell’ONU del 1992 a Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo, noto anche come il Summit della Terra, si sono incontrati migliaia di rappresentanti della società civile, diplomatici, politici e altri. Si sono scambiati esperienze e proposte per fermare i danni, promuovendo politiche di giustizia sociale ed ecologia. Non è finita. Il bosco cresce. Magari avrebbe bisogno di più acqua e visibilità.
Certamente ci sono tantissimi studiosi che contribuiscono con il loro sapere e i loro studi, a partire dalla biologa e zoologa Rachel Carson, autrice de “La primavera silenziosa” (1963), e poi Vandana Shiva, Susan George, Wangari Maathai. Ci sono veramente tante persone in tutti i continenti che contribuiscono con saggezza e azioni alle diversità biologiche, culturali, di scienze e propongono vie di uscita.
Quali pensa che siano gli ostacoli e le resistenze che impediscono o rallentano un cambiamento dei modelli sociali ed economici?
I limiti sono ignoranza, arroganza, egoismi, mancanza di cooperazione e di solidarietà. La chiusura mentale dei cosiddetti “piccoli cervelli” che si credono grandi. E la chiusura dei “piccoli cuori” che considerano solo loro stessi invece di procedere con umiltà.
Come proponeva Alexander Langer, invece che al motto olimpico “più veloce, più lontano, più forte”, nella vita bisognerebbe orientarsi al “lentius, temperantius, levius” (più lento, più misurato, più lieve). Ciascuno di noi può farlo, indagando le proprie resistenze. Non aspettiamo che siano gli altri a farlo… ognuno può iniziare.
Per ulteriori approfondimenti sul pensiero e la vita di Langer, vedi il sito della Fondazione www.alexanderlanger.org